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Recensioni

Filosofia della rivelazione

HERMAN BAVINCK

Recensione pubblicata su «Studia Patavina», LIV, 2007, 1, pp. 244-246

I dieci densi capitoli del volume di Herman Bavinck, che si inseriscono in un progetto editoriale di ripubblicazio­ne di rilevanti testi della teologia evangelica, derivano da una complessa rifles­sione, comune ai diversi indirizzi della teologia cristiana, sugli orientamenti di fondo della filosofia e della teologia del nostro tempo: dal panteismo al positi­vismo e al pragmatismo non vi è movi­mento filosofico contemporaneo che Bavink non valuti criticamente per far emergere, in modi non schematici o precostituiti, la sua convinzione che l'uomo moderno continua ad avvertire gli interrogativi che sono alla base del­la domanda religiosa.

È sempre viva, nello svolgersi della sua argomentazione, la consapevolezza che tale istanza non è appagabile da un vago deismo razionalistico, tanto astrat­to quanto inefficace, ma dal ritorno alle fonti della Rivelazione cristiana.

Bavinck non vuole enunciare un si­stema della filosofia della rivelazione ma solo alcuni suoi punti di forza (p. 40). In ciò è anzitutto sostenuto dalla con­vinzione che i più diversi movimenti filosofici hanno mostrato limiti intrin­seci proprio nel loro dispiegarsi: nel loro apparente trionfo, essi si sono scontrati con la realtà umana effettiva e con il mistero delle cose. Al di là delle intenzioni delle scuole e degli in­dirizzi filosofici, molti sono stati con­dotti dalla constatazione dei persistenti mali del vivere a posizioni negativiste e rinunciatarie: questo è stato l'esito, inatteso e imprevisto, di una poco con­vincente esaltazione della natura e del­la storia, private di un fondamento re­ligioso e di un riferimento a una vo­lontà prowidente e superiore al corso della natura e degli eventi. L'ottimismo a-religioso ritorna su di sé in forme pessimistiche e pone in discussione l'equazione tra passato e religiosità. In­fatti, secondo Bavinck, non reggono lo schema positivistico comtiano, né il monismo panteistico, o il ricorso indi­scriminato ai concetti di evoluzione e di progresso: tali paradigmi interpreta­tivi, al di là del loro valore, appaiono spesso costruzioni aprioristiche per non confrontarsi con l'effettiva condizione antropologica. Aprioristici risultano an­che i sistemi pantelstici hegeliani e im­manentisti, o le diverse formulazioni del materialismo antico o moderno. Infatti, Bavinck sostiene che «il mon­do stesso poggia sulla rivelazione: essa è il presupposto, il fondamento, il se­greto di tutto ciò che esiste in tutte le sue forme. Più la scienza approfondi­sce le sue indagini, più chiaramente scoprirà che la rivelazione è alla base di ogni essere creato» (p. 39).

Di fronte allo sviluppo e alle crisi del pensiero odierno, Bavinck non af­fronta la questione del religioso in ter­mini di sola psicologia delle religioni. Anche qui, infatti, vi sarebbe il perico­lo del riduzionismo e del fraintendimen­to: non è solo vero che la religione, pragmatisticamente, è espressione di esi­genze profonde o adattive dell'animo umano, ma bisogna soprattutto ricorda­re che, in ordine al pensiero, all'azione e al sentimento, la riflessione critica e filosofica può approdare a un bisogno strutturale di redenzione e alla necessi­tà concreta di un'autonoma rivelazione divina.

Ciò non va detto solo perché l'assolutizzazione dei criteri epistemologici empirici si è dimostrata fallace, non solo perché il culto positivista dell'umanità si è rivelato fragile, e neanche perché la riconduzione del bisogno religioso al primitivo e all'ancestrale si sono rivelati discutibili, ma soprattutto perché il co­smo, l'uomo e la storia risospingono l'uomo alla domanda religiosa, cosi delineabile e peculiare nella figura e nell'insegnamento del Cristo, cioè nella sua liberante rivelazione della verità salvifi­ca: pur pregiando altri messaggi sapienziali e religiosi, Bavinck ricorda, infatti, che «Cristo non è il fondatore del cristianesimo, né è stato il primo a confessarlo, né il primo cristiano, ma è il cristianesimo stesso nella sua preparazione, nel suo adempimento e nel suo coronamento» (p. 330). Insemina, Bavinck non nega il valore di aspetti, istanze, bisogni nuovi del nostro tempo, ma non ignora che la costruzione di concetti come quelli di cultura moderna o di progresso scientifico, finiscono, se presi unilateralmente, per porre l'uomo stesso in contraddizione con se stesso: l'antinomia di aver sacralizzato le attività finite dell'uomo e i saperi umani sempre limitati porta, anzitutto, alla disillusione dinanzi al male e al dolore del mondo, ma anche alla ripro­posizione della domanda religiosa, che l'autore vuole sottolineare, memore del­la sua ineludibilità. Egli lo fa senza re­ticenze e attenuazioni degli elementi fontali di novità di un messaggio che, non vinto dal sapere, si vuole eliminare con la superficialità o il pregiudizio. In questo senso, va colto il richiamo alla teologia della croce, intesa come lo spar­tiacque della storia. Qui è l'espressione saliente di tutto il procedere del movimento della rivelazione: essa va dalla creazione di un universo buono alla permissione del male, alla caduta, alla ricostruzione di un universo nuovo e di un ordine dell'amore e del perdono, cioè all'annuncio di un messaggio di speranza di cui il cristianesimo è latore. Non si tratta, come per un certo culto delle contrapposizioni, di opporre alla ragione filosofica e scientifica mo­derna quello dell'autorità o dell'antico: bisogna, piuttosto, far germogliare, dal­l'intimo della condizione spirituale del nostro tempo, quell'approccio alla tra­scendenza che è il fondamento, genui­no e imprescindibile, della filosofia del­la rivelazione.

Dall'analisi delle questioni più attua­li, come quelle della storia, Bavinck ri­tiene si possa evidenziare la necessità del riferimento all'evento rivelato: proprio attraverso la disamina delle diverse ri­flessioni sulla storia, dall'età romantica allo storicismo tedesco (Dilthey, Troelt­sch) contemporaneo e alla filosofia dei valori di marca neo-kantiana (Windelband, Rickert), emergono le aporie del pensiero filosofico e della storiografia in rapporto alle complesse tematiche del divenire e dello svolgersi della storia, della continuità e delle fratture che con­trassegnano il procedere dell'uomo. In effetti, nota Bavinck, ogni aspetto del tempo e della cultura, del passato e dell'avvenire, della filosofia e dell'espe­rienza religiosa riporta alla necessità di un approdo alla Rivelazione. La rifles­sione sul futuro, del quale non si cessa di discutere, conduce a evidenziare che solo la rivelazione può appagare il bi­sogno di certezza dell'uomo e dare un fondamento alla sua azione, al di là di ogni relativismo e scetticismo sempre incombenti o possibili: «Tutte le reli­gioni che esistono senza la Rivelazione speciale di Cristo e, patimenti, tutte le confessioni e visioni del mondo che da essa differiscono, sono caratterizzate da questa peculiarità comune: che identifi­cano Dio e il mondo, il naturale e l'eti­co, l'essere e il male, la creazione e la caduta e perciò, mescolano la religione alla superstizione e alla magia» (p. 328). Queste parole del teologo evangelico non sono certo spregio di altre religio­ni, ma esprimono la convinzione della centralità del cristianesimo per l'uomo d'oggi.

Francesco De Carolis

 


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La persona e l'opera di Cristo

BENJAMIN B. WARFIELD

Recensione pubblicata su «Ideaitalia», gen-feb 2002, p. 6

Il libro di Warfield è anch’esso un gioiello. La statura dell’autore, professore di teologia a Princeton (USA) a cavallo tra il XIX e il XX sec., di cui nel 2001 è stato celebrato il 150° anniversario della nascita, richiede che i suoi scritti siano presenti nelle biblioteche di ogni chiesa, e anche in quelle di tutti i credenti che non vogliono vivere la fede in modo superficiale. Il volume raccoglie undici densi saggi che spaziano su temi quali: il Cristo storico, il Cristo predicato da Paolo, la vita emotiva del Signore, il significato dei termini "redentore" e "redenzione", il confronto critico con le tesi liberali in voga nei primi anni del Novecento. L’opera di Warfield rappresenta uno dei momenti più alti della teologia evangelica contemporanea e, anche in questo caso, l’nvestimento sarà sicuramente remunerativo. Di Warfield, lo stesso Editore ha anche pubblicato due altri volumi: Rivelazione e ispirazione e il piano della salvezza, che ne illustrano ulteriormente lo spessore.

Ora che il pensiero evangelico comincia a essere ben rappresentato anche nella produzione in lingua italiana, i lamentosi devono finalmente tacere e mettersi a leggere con impegno, prima di accampare altre scuse. È anche vero che le opere in traduzione, per quanto importanti e necessarie, non saranno sufficienti per favorire la maturazione della sensibilità teologica degli evangelicali in Italia. Alla traduzione deve affiancarsi la produzione di autori e autrici italiani, che sappiano dare voce a un pensiero evangelico solido e penetrante.

Leonardo De Chirico

 


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Lampade ardenti e splendenti

JONATHAN EDWARDS

Recensione pubblicata su «Ideaitalia» di settembre 2001, p. 6

Il volumetto Lampade ardenti e splendenti, di Jonathan Edwards contiene due sermoni sul ministero cristiano, particolarmente adatti a coloro che sono chiamati al servizio del pastorato e della predicazione.

Prendendo spunto da Giovanni 5:35 e 13:15-16, Edwards espone l’autentico prestigio di un ministro del Vangelo e il senso dell'esempio di Cristo per i servitori del Signore.

A integrazione di questi due sermoni, I’Editore ha opportunamente tradotto e inserito nel volume anche i famosi settanta “proponimenti” (Resolutions), che il giovane Edwards formulò come principî di vita da seguire, e che l’accompagnarono nel servizio. Si tratta di massime e obiettivi per regolare il cuore e la condotta, che indicano la profondità e la radicalità della visione di Edwards e che non mancheranno di colpire ogni lettore.

 


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Teologia biblica. Antico e Nuovo Testamento

GEERHARDUS VOS

Recensione pubblicata su «Studi di teologia», XIX, 2007, pp. 71-73

Un volume particolarmente prezioso ha arricchito la collana “La grande teologia evangelica” della casa editrice Alfa & Omega di Caltanissetta. Il suo autore Geerhardus Vos (1862-1949), titolare della cattedra di teologia biblica presso il seminario teologico di Princeton negli anni 1893-1932, è stato senz’altro un personaggio poliedrico nel senso migliore del termine: dottorato di ricerca in lingue semitiche, ottime conoscenze in campo storico e filosofico nonché straordinarie capacità di sintesi teologica. Il volume Teologia biblica, pubblicato nel 1948, è senz’altro la sua opera più importante, prima di tutto perché riassume i tratti portanti del suo pensiero.

Questo volume ha tuttavia un altro pregio: Vos vi ha fissato in maniera definitiva il campo di ricerca e la metodologia della disciplina denominata “teologia biblica” (33-55). Sorprende positivamente la tenacia con cui Vos ricorda la celebre frase di Tommaso d’Aquino riguardante la teologia: a Deo docetur, Deum docet, ad Deum ducit (insegnata da Dio, istruisce su Dio, conduce a Dio, 29 e 54).

Sottostando in ogni caso alle esigenze di una cronologia rigorosa, bisogna subito aggiungere che già nel 1894 Vos aveva dato alle stampe il saggio The Idea of Biblical Theology as a Science as a Theological Discipline, che gettava le fondamenta metodologiche della teologia biblica. Il primo capitolo del volume n’è, di fatto, un riassunto, redatto tuttavia dopo un mezzo secolo di esperienza accademica.

Si può quindi affermare che è stato proprio Vos a impostare una disciplina teologica, relativamente giovane nell’ambito cristiano riformato, che oggi però fa parte di ogni curriculum di studi teologici. Quali sono i presupposti della teologia biblica secondo Vos? La risposta va cercata in due frasi che racchiudono, a mo’ di parentesi, la sua intera attività accademica: “II fatto che Dio abbia dato corpo ai contenuti della sua rivelazione non in un manuale di dogmatica, ma in un libro di storia non ha eguali in quanto a interesse drammatico” e “La Bibbia non è un manuale di dogmatica ma un libro di storia di storia dal forte interesse drammatico” (16). Va aggiunta la precisazione che l’aggettivo «drammatico» si riferisce all’azione pura e semplice, ovverosia alle vicende e alle azioni che caratterizzano la narrazione biblica.

Queste e tante altre preziose informazioni biografiche su Vos si trovano nell’introduzione al volume (7-28), scritta da Richard B. Gaffm Jr., e tratta da un’antologia del 1980 che contiene alcuni scritti brevi di Vos. Lo stesso Gaffm è abbastanza incline a definire l’approccio teologico di Vos come “storia della rivelazione speciale” (14). L’opera di Vos rispetta, infatti, il criterio cronologico, secondo il quale l’esposizione parte dalla rivelazione nell’epoca mosaica, attraversa l’epoca profetica e si conclude con la persona di Gesù. Nel corso dell’esposizione emergono chiaramente i tre principi fondanti dell’ermeneutica di Vos: 1 - l’Antico e il Nuovo Testamento costituiscono un corpus unico della rivelazione, definito secondo un criterio teologico (forte accento polemico contro l’approccio storico-critico, teorizzato dalla teologia liberale); 2 - è la Scrittura che interpreta la Scrittura (contro il magistero esterno alla Scrittura, teorizzato dalla Chiesa Cattolica Romana); 3 - la persona, l’opera e l’insegnamento di Gesù sono il centro e il culmine della rivelazione biblica (una presa di distanza da tutte le affermazioni dell’autonomia della rivelazione veterotestamentaria).

Nella sua riflessione Vos da inoltre molto spazio agli autori umani dei testi biblici, cercando di ricostruirne i tratti portanti. All’epoca tale approccio attirò sul teologo di Princeton una forte ondata di critiche, anche se oggi i maggiori esponenti del movimento evangelicale abbastanza legati alla teologia riformata, quali, ad esempio, Toni Wright e Philip Yancey non esitato ad approfondire tali ricerche.

Il pensiero di Vos andrebbe ovviamente collocato in un ambito di riflessione assai più ampio e rappresentato, tra gli altri, da Benjamin B. Warfield nel campo della teologia sistematica e da Herman Banvick nella sfera della filosofia. Fino a pochi anni fa le opere di questi autori erano conosciute solo in una ristretta cerchia di studiosi. Oggi, grazie all’editrice Alfa & Omega, i loro scritti sono disponibili anche in italiano. Questo fatto dovrebbe aprire nel seno dell’evangelismo italiano un ampio dibattito teologico sull’autorità delle Scritture sulla natura della dottrina cristiana. Le chiese evangeliche guidate da correnti teologiche liberali e post-liberali sono oggi in Italia numericamente minoritarie ma dotate di una notevole visibilità nello spazio pubblico, anche a causa del loro solido inserimento nel dibattito sociale e culturale. Il movimento evangelicale, in tutte le sue molteplici sfaccettature, è oggi senz’altro la corrente maggioritaria dell’evangelismo italiano, senza tuttavia avere la visibilità sociale e culturale che meriterebbe. Un franco confronto sulle questioni fondamentali della fede cristiana gioverebbe indubbiamente a tutto l’evangelismo italiano, iniettando anche una linfa nuova in tutti i luoghi di dialogo ecumenico e interreligioso.

Pawel Gajewski

 


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Perché Dio permette la guerra? Una giustificazione delle vie di Dio

D. MARTYN LLOYD-JONES

Recensione di Luigi Alberto Guerra, pubblicata su «Studi di teologia» 2010-1, n. 43, pp. 74-75.

Questo volumetto è una raccolta di cinque sermoni del grande predicatore gallese risalenti al 1939, all'inizio del­l'ultimo conflitto mondiale: benché pub­blicati in quel periodo fosco, conserva­no intatta tutta la loro rilevanza origi­naria in quanto, ciascuno trattandone un aspetto specifico, affrontano l'ardua te­matica della teodicea, "ossia della giu­stificazione di come la bontà e la giusti­zia divine si conciliano con l'esistenza del male nel mondo" (7). Con questo li­bro l'autore intende proporre un primo approccio al vasto argomento della teo­dicea, con il preciso intento di rafforza­re la fede dei credenti nei giorni di crisi, incertezza e confusione che attraversano il mondo e che si riflettono nella chiesa, come sono i giorni che caratterizzano anche il nostro tempo odierno: di qui l'indubbia attualità di questa silloge di sermoni.

Nel I sermone ("L'uomo alla presen­za di Dio", su 1 Tm 2,8) Lloyd-Jones tratta della preghiera e del suo esauri­mento da parte di Dio nonché del cor­retto approccio ad essa, cioè "come" pre­gare e "per cosa" pregare, concludendo che l'autentica preghiera è "l'espressio­ne di una fede che non solo crede in Dio, ma che pure è disposta ad affidarsi com­pletamente a lui e alla sua santa volon­tà" (28). Nel II sermone ("Affrontare l'imprevisto", su Gdc 13,22-23) si ana­lizza il significato del tempo di crisi e di difficoltà, che rivela ciò che una perso­na effettivamente è, ciò in cui realmente crede, come crede e quanto sia grave l'incredulità, definita da Lloyd-Jones "La madre di tutti i peccati" (38), a cui si contrappone la fedeltà di Dio nei suoi propositi di grazia. Il III sermone ("II mistero delle vie di Dio", su Is 45,15) affronta le difficoltà di come conciliare il mondo moralmente e spiritualmente decaduto in cui si vive con la fede in Dio a sua volta avversata dal mondo, di come conciliare la presunta indifferen­za o assenza di Dio dal mondo e il pa­rallelo attuale dilagare del male, quesiti che sorgono in realtà - come ben dimo­stra l'autore - dall'ignoranza della vera natura di Dio e dalla presunzione e ar­roganza del cuore dell'uomo.

Nel IV sermone ( "Perché Dio permette la guer­ra?", su Gc 4,1) che da il titolo a questa raccolta, dopo una disamina dei diffe­renti atteggiamenti dei credenti verso la realtà della guerra, Lloyd-Jones presen­ta una trattazione, circoscritta agli aspet­ti salienti, di ciò che la Scrittura affer­ma in merito alla guerra, traendone l'in­segnamento che la guerra permane come una delle conseguenze ineluttabili della realtà terrena decaduta, una conseguen­za che si manifesta su vasta scala e ama­ro frutto della concupiscenza di un cuo­re carnale, mentre, all'opposto, il fine primario della ricerca della pace deve fondarsi - come argomenta ottimamen­te l'autore - sul "desiderio di avere la massima opportunità di vivere una vita santa e quieta in armonia con Dio, come pure di avere la massima quantità di tem­po per edificare noi stessi nella fede" (77), in ciò consistendo l'autentico sco­po della vita dell'uomo; la guerra rima­ne un monito per considerare la vera natura del peccato e la sua universalità nonché un modo, per quanto doloroso, per ritornare a Dio nel ravvedimento. Infine nel V sermone ("La risposta fina­le a tutte le nostre domande" su Rm 8,28), muovendo dall'insegnamento e dalla vita dell'apostolo Paolo, si espone il tema della consolazione e del conforto del credente nei tempi di crisi e di prova, analizzando il tema parallelo della gioia del credente, la quale ha il suo fondamento in un rapporto consapevole e autentico con Dio, nella fiducia cosciente nelle sue promesse e nella costante consapevolezza di essere stranieri e pellegrini sulla terra, in viaggio verso l'eternità ultraterrena, e che quaggiù comunque ogni cosa coopera al bene di coloro che amano Dio, incluse quindi le prove, le sofferenze e le tribolazioni di questa vita, la finalità delle quali sta nel ricordarci la natura fugace della nostra vita terrena, nel rivelarci tutta la nostra impotenza e fragilità e nell'indurci a dichiarare la nostra totale dipendenza da Dio: in tutto ciò risiede il valore della scuola dell'afflizione, come conclude in modo altamente edificante e convincente Lloyd-Jones.

 


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