Menu

Recensioni

Dio esiste. Come l'ateo più famoso del mondo ha cambiato idea2

ANTONY FLEW con ROY A. VARGHESE

 Seguire l’evidenza ovunque essa porti fu il principio socratico a cui Antony Flew si è affidato per sviluppare i suoi famosi ragionamenti che sino al 2004 lo hanno portato ad essere il maggior rappresentate della filosofia atea nel mondo. Dicevo sino al 2004 in quanto A. Flew, seguendo l’evidenza dei fatti, ha dovuto ricredersi e ha dovuto accettare ed ammettere l’evidenza: Dio esiste.
Il teorico dell’ateismo ha così affrontato uno di quei percorsi che tutti gli uomini è sempre stato ostico, l’ammissione di un errore… e che errore. Per 50 anni Flew ha scritto, insegnato e dibattuto in tutto il mondo sul concetto che Dio era un’invenzione dell’uomo. Ma continuando nei suoi studi e nei suoi pensieri, ha seguito il suo pellegrinaggio della ragione passando dalla fede atea a quella in Dio.

Nel suo libro dal titolo Dio esiste, l’autore, nel capitolo “il nuovo ateismo” sistema per bene due dei maggiori atei al mondo: Dennett e Dawkins. Normalmente le persone estranee al dibattito sull’esistenza di Dio credono che la scienza abbia dimostrato la sua inesistenza; ciò è avvenuto a causa di tantissime menzogne che vengono propagandate dai mass media, menzogne secondo le quali lo scienziato deve essere ateo, mentre coloro che credono in Dio non possono essere scienziati. Nella storia dell’uomo e della scienza, al contrario, i credenti sono stati coloro che hanno dato forza a nuove scoperte e allo sviluppo della scienza moderna. Sono i maggiori scienziati della storia ad essere stati credenti. Proprio Flew è convinto che la scienza dimostri il contrario e cioè l’esistenza di Dio.

Nei maggiori libri atei di A. Flew l’autore sviluppò argomenti insoliti contro il teismo che fornirono una nuova mappa alla la filosofia delle religioni; per Flew era inutile una discussione sull’esistenza di Dio sino al momento in cui non fosse stabilita una coerenza del concetto di spirito onnipresente e onnisciente, e soprattutto che la prova toccava al teismo in quanto l’ateismo è una posizione implicita. Posizioni chiare che lo hanno reso famoso e filosofo di riferimento dell’ateismo mondiale.
Come dicevo precedentemente sono state le scoperte scientifiche a dimostrare che l’evidenza portava all’esistenza di Dio. Il premio Templeton Paul Davies sostiene che: “la scienza può andare avanti solo se lo scienziato adotta una visione del mondo essenzialmente teologica”. Inoltre Davies, che si può ritenere il più influente commentatore della scienza moderna, ha anche dichiarato che “gli atei dichiarano che le leggi (di natura) esistono irrazionalmente e che l’universo è definitivamente assurdo; come scienziato, trovo che questo sia difficile da accettare, ci deve essere un terreno razionale immutabile nel quale la natura logica e ordinata dell’universo affonda le sue radici”[1] per Flew queste considerazioni, oggi, sono assolutamente da accettare e condividere.

Tra le varie motivazioni che hanno spinto a comprendere la necessità di un Dio è la scoperta del DNA e della sua incredibile complessità non spiegabile con la selezione naturale e ipotetiche mutazioni sviluppatrici di nuova informazione. Scrive Flew: “il messaggio genetico del DNA è replicato e poi copiato e trascritto dal DNA al RNA. Dopodiché viene comunicato agli amminoacidi e, infine, questi ultimi vengono assemblati in proteine. Le due strutture della gestione dell’informazione e dell’attività chimica della cellula, fondamentalmente diverse, sono coordinate dal codice genetico universale”.
Seguendo il ragionamento e l’evidenza di una complessità che non è possibile ridurre alla logica riduzionistica del neodarwinismo Paul Davies ha scritto “ la vita è qualcosa di più di mere reazioni chimiche complesse. La cellula è anche un sistema d’immagazzinamento, trattamento e replica dell’informazione. Abbiamo bisogno di spiegare l’origine di questa informazione e il modo in cui il macchinario del trattamento dell’informazione iniziò ad esistere”. Concetti che fanno comprendere quanto in realtà la teoria di Darwin non ha fornito risposte e Antony Flew lo ha compreso bene arrivando a confutare se stesso ed ad ammettere l’errore della sua vita, cioè l’avere creduto all’ateismo.

La capacità di Antony Flew ad ammettere l’errore dei suoi scritti è notevole se si considera che viviamo in una società in cui nessuno ammette di avere sbagliato anche sotto l’evidenza. L’evidenza ha dimostrato al più importante filosofo ateo del ‘900 che si sbagliava e che guardando senza pregiudizi la realtà dei fatti si può vedere la mente di Dio.

 F. Fratus

Il popolo dei discepoli2

PIETRO BOLOGNESI

Recensione pubblicata su «Riforma» del 22 novembre 2002, p. 6

Nell’ambito della teologia evangelica italiana le pubblicazioni di carattere ecclesiologico non sono particolarmente numerose. Gli studi sulla chiesa sono piuttosto sparsi e possono essere ricondotti per lo più ad approcci di carattere storico o pastorale. Il libro Il popolo dei discepoli, invece, affronta la riflessione sulla chiesa innanzitutto in una prospettiva biblica e teologica, senza essere tuttavia un manuale di carattere sistematico.

Il curatore del volume, Leonardo De Chirico, ha voluto presentare il percorso di ricerca ecclesiologica compiuto finora da Pietro Bolognesi, presidente dell'Istituto di formazione evangelica e documentazione di Padova.

Tale percorso, incentrato sul concetto di popolo, si articola in tre sezioni: il popolo convocato e mandato, il popolo confessante e celebrante, il popolo ammaestrato e accompagnato. A queste tre sezioni corrispondono le 3 dimensioni in cui si muove la riflessione di Bolognesi: biblica, simbolico-liturgica e pastorale.

La dimensione biblica trova le sue coordinate principali in due brani del Vangelo di Matteo: Mt. 18, 20 e 28, 16-20. L’accento è posto sull'assemblea dei discepoli riunita intorno al Signore Gesù. Il ruolo dei discepoli non può tuttavia ridursi soltanto all’ascolto dell’Evangelo. In una prospettiva biblica non é possibile ammettere la separazione tra kerygma e martyria, tra sapere e agire. Non è un caso che proprio in questa prima parte del libro si trovi un interessante saggio dedicato alla relazione tra Evangelo e cultura (pp. 45-60). Il mandato missionario, rivolto dal Risorto ai discepoli, è al tempo stesso un mandato culturale.«Se la chiesa di oggi saprà far propria questa prospettiva – afferma Bolognesi – ci sarà una possibilità di consegnare alle generazioni future un progetto per cui combattere e sperare, ma se non accadrà sarà veramente difficile pensare che la cultura laica e cattolica non riusciranno a stritolare o neutralizzare la presenza evangelica» (p. 60).

I1 presupposto biblico trova la sua attuazione nella dimensione simbolico-liturgica della ricerca. Vi si possono individuare due luoghi particolari. I1 primo di questi é la confessione di fede, intesa come simbolo che sintetizza e dichiara inequivocabilmente la dottrina alla quale il credente obbedisce e che professa. Il secondo luogo è il culto incentrato sulla predicazione e orientato alla celebrazione di Dio. La visione di Bolognesi è in entrambi i casi dichiaratamente teocentrica. La chiarezza di una confessione di fede basata sulle Scritture equivale a «essere sottratti all’incertezza e all’instabilità proprie del soggettivismo religioso e attingere la propria sicurezza alla sola verità di Dio» (p. 89). La celebrazione di Dio significa viceversa riconoscerlo per ciò che egli è, affermando con tutto lo svolgimento dell'azione liturgica che il culto è la sua iniziativa e non soltanto un’opera umana.

In queste due dimensioni si inserisce la terza, quella pastorale, delle ricerche di Bolognesi. Gli scritti contenuti nell’ultima sezione della raccolta sono quindi abbastanza densi sotto l’aspetto dell’argomentazione teologica, chiari ed espliciti nell’esposizione dei problemi. Forse è proprio questa la parte più interessante e più discutibile dell’intero volume. Tali sono, ad esempio, le «Tesine riassuntive sul ministero femminile» (pp. 141-144). Bolognesi elabora un ampio spazio di impegno pastorate al femminile, includendovi persino l’amministrazione della cena del Signore. Lo spazio è però circoscritto dal ministero diaconale. I1 ministero di anziano, ovvero quello della conduzione ecclesiastica, secondo le «Tesine», rimane accessibile ai soli uomini. D’altro canto sono particolarmente degne di attenzione le osservazioni sulle funzioni e sull’autorità degli anziani. Bolognesi, in sintonia con la teologia riformata classica, mette in risalto la collegialità di tale ministero che deve essere esercitato sempre in una prospettiva autenticamente pastorale.

In tutta la riflessione ricorrono spesso due pericoli che minacciano la chiesa: il pericolo di eccessiva istituzionalizzazione e il pericolo di spiritualismo, tendente a ridurre la chiesa soltanto alla condivisione delle esperienze spirituali. A queste possibili malattie il libro propone due rimedi, che applicati congiuntamente sono in grado di eliminare entrambi i pericoli. Il primo rimedio é la retta predicazione. Una delle principali notae ecclesiae (criteri di ecclesialità), riscoperte dalla Riforma del Cinquecento, è per Bolognesi la vera linfa vitale e l’evento fondante della chiesa. La predicazione si inserisce in una triade particolare : «Prima la parola, poi la verità, quindi la libertà» (p.125). I1 secondo rimedio è la sottomissione alla Signoria di Dio: «La forma sotto la quale si compie l’edificazione della chiesa non è solo una questione formale o istituzionale, ma sfida la realtà della fede confessata, il rapporto tra Dio e l’uomo. I1 modo in cui, la chiesa vive questa sua fede, deve esprimere la Signoria dello Spirito dello Spirito di Dio su di essa» (pp. 160-161).

Gli auspici da esprimere dopo la lettura de Il popolo dei discepoli sarebbero almeno due. Il primo, che il volume trovi un’ampia diffusione in tutta la galassia delle chiese evangeliche in Italia, suscitando pure ampi e partecipati dibattiti su un argomento che finora è stato piuttosto trascurato. I1 secondo, che questa serie di contributi possa trasformarsi presto in uno studio organico sull’ecclesiologia evangelica.

Pawel Gajewski

 

 

ACQUISTA QUESTO LIBRO
(vedi i dettagli)
ALTRE RECENSIONI

Il popolo dei discepoli

PIETRO BOLOGNESI

Recensione pubblicata su «Il Regno» n° 4 2003

L'a. è esponente dell'evangelicalismo italiano, la tradizione più recente della Riforma, ed è membro della Commissione teologica dell'Alleanza evangelica mondiale. Raccogliendo alcuni dei suoi saggi apparsi su riviste teologiche è emerso un quadro significativo di ecclesiologia che riguarda il popolo convocato e mandato (I parte), il popolo confessante e celebrante (II), il popolo ammaestrato e accompagnato (III). Come afferma il curatore, L. De Chirico, "se il mondo evangelicale italiano oggi ha almeno la possibilità di non essere teologicamente analfabeta, lo si deve in gran parte" a P. Bolognesi e alla rivista teologica da lui promossa.

I sentimenti religiosi2

JONATHAN EDWARDS

Recensione pubblicata su «Il Regno», 943 (XLIX/2004), p. 185

Solo una domanda è veramente fondamentale per l'umanità: qual è la natura della vera religione? Fu questa la domanda che si pose nel 1746 Jonathan Edwards al momento di scrivere I sentimenti religiosi, opera destinata a influenzare profondamente la storia evangelica successiva.

L'a., pastore e teologo riformato di grandissimo livello, vissuto nelle colonie americane prima della Dichiarazione d'indipendenza, ebbe modo di assistere a quel fenomeno di grande fervore religioso noto come Great Awakening, il grande risveglio, dalle varie e molteplici manifestazioni, piuttosto sensazionali alle volte. Richiamandosi al principio del sola Scriptura, Jonathan Edwards elaborò una teologia in grado di saper distinguere "il buon terreno", in cui si afferma che è la Bibbia l'unica a poter giudicare la qualità dell'esistenza cristiana. Un classico tutto da scoprire proveniente dal nuovo mondo del XVIII secolo, decisamente attuale nel suo messaggio, ora disponibile in edizione italiana.

I sentimenti religiosi

JONATHAN EDWARDS

Recensione pubblicata su ICN-News.com nella rubrica "Lunedì letterario"

«Non esiste domanda di maggiore rilevanza per l’umanità, alla quale ciascuno deve poter dare una risposta precisa, di questa: quali sono le caratteristiche che distinguono coloro che si trovano in uno stato di grazia nei confronti di Dio e che attendono la sua eterna ricompensa? Ovvero, che poi è la stessa cosa: qual è la natura della vera religione?».

Con queste parole sobrie e rigorose, nel 1746 Jonathan Edwards introduceva questo trattato sui sentimenti religiosi che sarebbe entrato tra le opere più influenti della storia evangelica successiva. Negli anni immediatamente precedenti alla pubblicazione, il ministero di Edwards era stato benedetto con una grandiosa stagione di risvegli che avevano messo a soqquadro la città di Northampton e i cui effetti si stavano rapidamente estendendo altrove. Il risveglio aveva alimentato un grande fervore religioso da parte di molti e Edwards, da buon pastore-teologo, osservò i comportamenti, gli atteggiamenti e i frutti del risveglio nella vita delle persone. Le manifestazioni erano varie e anche eclatanti, ma c’era un criterio biblico per valutarne l’autenticità spirituale?

Rifacendosi alla Scrittura, Edwards è convinto che non tutte le manifestazioni di fervore religioso siano un segno affidabile di un’opera di Dio. Si possono verificare dei segni che non necessariamente indicano l’azione di un vero risveglio da parte dello Spirito di Dio. Lo zelo, di per sé, non è una garanzia di spiritualità cristiana. Così come non lo sono le manifestazioni fisiche ed esteriori, la moltitudine di parole religiose che si usano, il tempo che si dedica ai doveri religiosi, ecc. Oltre a mettere in guardia dai segni inaffidabili, Edwards, partendo sempre dalla Bibbia, presenta i segni affidabili che testimoniano la genuinità di un’opera divina nella vita di una persona. Il suo trattato non solo critica i segni inaffidabili, ma anche incoraggia ad apprezzare i segni affidabili. Come ben scrive Nazzareno Ulfo nell’introduzione alla pregevole edizione italiana, quella che Edwards propone è una “teologia del discernimento cristiano”. Non è l’esperienza che può giudicare la qualità della vita cristiana, ma è la Scrittura che può e deve farlo, anche in stagioni di risveglio eclatante. Con rigore biblico e profondità teologica, Edwards ha scritto un trattato che, per quanto legato a un contesto storico lontano, è di un’attualità bruciante anche per la chiesa di oggi. Ora come allora, non esiste domanda più importante di questa: qual è la natura della vera religione? Non si può che rallegrarsi per il fatto che questo classico della letteratura cristiana di tutti i tempi sia ora disponibile anche in lingua italiana.

Leonardo De Chirico

bnr pacchi convenienza

Visita anche le pagine Remainders, e Riviste pastorali

Log In or Register

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento e per fornirti un'esperienza migliore. Se usi questo sito acconsenti all'utilizzo dei cookie. Per saperne di più leggi la nostra cookie policy.