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Recensioni

Lezioni ai miei studenti (vol.1)2

CHARLES H. SPURGEON

Recensione pubblicata su «Riforma» del 18 marzo 2005, p. 4

Da diversi anni la Casa editrice evangelica Alfa & Omega di Caltanissetta pubblica, tra gli altri, testi classici della tradizione puritana e del Risveglio. Le introduzioni e le note storiche sono ridotte al minimo: l’obiettivo non è una presentazione storico-critica dell’opera, bensì proporre il testo all’uso alle chiese (prevalentemente del mondo evangelical), per così dire «nudo e crudo». A volte si sente la mancanza di un inquadramento critico più articolato: si tratta spesso di testi di enorme importanza e c’è da rallegrarsi che qualcuno abbia il coraggio di tradurli (nonché i necessari mezzi finanziari); .tuttavia vale per essi quanto vale per ogni documento del passato, per apprezzarli appieno occorre inserirli nel loro tempo.

Per molti aspetti ciò vale, naturalmente, anche per il recente libro del celebre predicatore ottocentesco Charles H. Spurgeon appena pubblicato nella nostra lingua. Tuttavia, in questo caso, si tratta di un’opera così eloquente e significativa che vale la pena leggerla così com’è e lasciarsene edificare. Si tratta di lezioni sul ministero pastorale rivolte agli allievi del Pastors’ College battista nel quale Spurgeon insegnava. Si va dall’omiletica in senso stretto alla spiritualità pastorale, non senza digressioni sul modo di vestire dei predicatori, sullo stile di comportamento in società, su come procurarsi strumenti di studio anche se si è a corto di quattrini, tema sempre interessante, come si sa.

Il tono è marcatamente non accademico, discorsivo, pieno di aneddoti e di esempi pratici: l’autore intende mostrare già col suo dire quanto propone. Alcuni capitoli (ad esempio quelli sulla «vigilanza di se stessi», sulla vocazione, sulla preghiera) sono, a mio giudizio, di attualità impressionante; uno, intitolato «Le crisi di scoraggiamento», propone un’analisi spiritualmente finissima di quel tipo di depressione che la tradizione chiama «accidia»: Spurgeon non conosce la moderna psicologia, ma la sua esperienza personale e ministeriale gli permette di dire cose davvero importanti. Anche la trattazione specificamente omiletica è assai istruttiva: volutamente semplice, ma densa di fede e di pratica autentica. Non è detto che si debba essere d’accordo su tutto ma anche là dove dissente, il lettore è stimolato da un pensiero non banale: penso a esempio alle pagine sulla lettura allegorica della Bibbia. Spurgeon è assai prudente rispetto a molti suoi contemporanei, ma ancora piuttosto «audace» secondo molti di noi. Tuttavia le sue riflessioni si impongono all’attenzione.

Purtroppo non gli piacciono lezionari e letture continuative, egli ritiene che occorra trovare, in preghiera, il «testo per la situazione»: persino un lettore piuttosto ferocemente avverso a tale atteggiamento, tuttavia, può dialogare serenamente con questo servitore dell’Evangelo. Splendide le pagine sulla necessità di una solida formazione teologica, da parte di un uomo che, lo si vede subito, non può certo essere accusato di idolatrare l’erudizione fine a se stessa.

Difficile, a tutta prima, reprimere un certo brivido solo all’idea. Però l’autore non ha torto quando dice che: se si tratta dell’eccezione e non della regola e se uno ha fieno in cascina (cioè conosce la Bibbia e la teologia), dovrebbe, se costretto, essere capace di lanciarsi. La preghiera nel culto, secondo Spurgeon, non dev’essere letta (men che meno scritta da altri) e va, rigorosamente, pronunciata a occhi chiusi. Sarà per il fascino del libro nel suo insieme ma ho letto con interesse, seppur scuotendo la testa, persino queste pagine. Quando invece se la prende con la liturgia strutturata, sostenendo che un culto animato dallo Spirito dovrebbe essere sempre diverso, oggi così e domani cosà, beh, questo è un po’ troppo, almeno per un tipo come chi scrive. Però l’autore ha presente, come bersaglio polemico (ma si tratta di una polemica relativamente moderata, Spurgeon vuole predicare e non litigare: spererei di poter imparare anche in questo), un anglicanesimo iperliturgico e stereotipato.

La traduzione, nell’insieme, permette di gustare il testo, nonostante la sua prolissità a tratti davvero un po’ eccessiva e le note, parsimoniose, come si è detto, segnalano almeno i dati indispensabili. Devo dire che sono stato attratto dal titolo: Lezioni ai miei studenti. Chissà, mi sono detto, se c’è qualcosa anche per i miei. Ho trovato, invece, lezioni assai importanti per me e desidero consigliare la lettura a pastori e pastore anzitutto, ma anche a predicatori locali, responsabili della catechesi e dei diversi ministeri della chiesa. Il vecchio Charles ha parecchio da dirci.

Fulvio Ferrario

Il più grande combattimento al mondo

Charles H. Spurgeon

Recensione pubblicata su ICN-News.com nella rubrica "Lunedì letterario"

Nella seconda metà dell’Ottocento, si verificò uno scontro teologico tra il cristianesimo evangelico classico e la versione liberale del protestantesimo. Da un lato, quello evangelico, c’era la convinzione che la fede cristiana trasmessa una volta e per sempre ai santi dovesse mantenere il suo attaccamento alla Parola scritta di Dio. Dall’altro, quello liberale, c’erano fermenti che spingevano per riconsiderarla alla luce della critica biblica e del razionalismo antisoprannaturalista. In molti paesi, questo scontro, iniziato nelle facoltà teologiche, si riverberò inevitabilmente nella vita delle chiese. Da parte evangelica, contribuirono al dibattito personaggi di grande spessore come A. Kuyper in Olanda e B.B. Warfield negli USA. Uno dei protagonisti di queste vicende in Inghilterra fu il grande predicatore battista Charles Haddon Spurgeon che s’impegnò appassionatamente nella controversia a sostegno della fede biblica e contro gli errori del liberalismo.

Questo volumetto contiene due scritti indicativi delle posizioni di Spurgeon, della sua analisi teologica e spirituale delle condizioni della chiesa inglese a fine Ottocento e del suo appello alle chiese affinché rimanessero attaccate alla fede evangelica classica. Il primo (“Il più grande combattimento al mondo”) fu pubblicato in italiano nel 1895, mentre il secondo (“I mali del nostro tempo”) lo è per la prima volta. Il valore di questi scritti non è solo storico e non riguarda semplicemente un’epoca passata.

Com’è noto, il liberalismo, nelle sue varie fasi, ha contribuito prima a minare la fiducia nell’attendibilità della Rivelazione, poi ha messo in discussione la sua autorevolezza e, negli ultimi decenni, ne ha combattuto l’esclusività in nome dell’universalismo della salvezza. Fatte le dovute differenze, il richiamo di Spurgeon è molto attuale. Non è compito di ogni credente demolire i ragionamenti, come il liberalismo teologico e i suoi figli e nipoti del Novecento, che si elevano orgogliosamente contro la conoscenza di Dio? Non è un compito costante per la chiesa rendere ogni pensiero ubbidiente a Cristo? La Bibbia dice di sì (2 Corinzi 10,3-5) e Spurgeon ce lo ricorda con grande vigore.

Whitefield è senz’altro un punto di riferimento, forse irraggiungibile, comunque di sicura ispirazione e di assoluto spessore. Breve, ma preziosa, è la biografia di Whitefield scritta da J.C. Ryle, clic precede la raccolta delle predicazioni
Leonardo De Chirico

Nove segni caratteristici di una chiesa sana2

MARK DEVER

Recensione pubblicata su «Oltre», n° 3, novembre 2005, p. 32

Per valutare questo libro in modo consapevole, bisogna fare una premessa sul suo ambiente di provenienza. Negli Usa, il movi­mento evangelicale può vantare numeri importanti e chiese apparentemente fiorenti. All'osservatore esterno, la dinamica evangelicale attuale sembra essere contrassegnata dalla crescita. Le ricette su come "crescere" fioriscono e propongono varie soluzioni pragmatiche per come aumenta­re di numero. Cosa c'è dietro i numeri?

L'A., pastore battista a Washington, ci aiu­ta a discernere oltre l'apparenza. Molto spesso, dietro la crescita presentata come tale ci sono chiese estrogenate, in cui masse di persone partecipano selettivamente a seconda dei loro interessi, senza un vero impegno per la vita comunitaria. Ci sono culti "contenitori" in cui la preoccupazione principale è quella di mettere le persone a loro agio, evitando il più possibile lo "scandalo" del vangelo. Ci sono messaggi della serie: "io sono OK, tu sei OK", che hanno perso la radicalità della Buona Notizia. Ci sono chiese che offrono servizi à la carte: il cliente sceglie quello che pre­ferisce senza essere coinvolto in un cam­mino di discepolato. Come dicono alcuni sociologi, al Believing (il credo) non segue il Belonging (il senso d'appartenenza) e nemmeno il Behaving (un comportamento degno). Quando la crescita numerica diventa l'ossessione a scapito della fedeltà, si possono avere aggregazioni numerose, ma sorge il dubbio legittimo se possano essere considerate chiese.

Biblicamente parlando, la crescita non è mai un valore assoluto e a sé stante, ma è sempre da qualificare alla luce di altri parametri. Quali? L'A. ne indica nove: la predicazione espositiva (solo la Parola di Dio), la teologia biblica (tutta la Parola), il vangelo (il centro della Parola), la conce­zione biblica della conversione, la pratica dell'evangelizzazione, l'appartenenza alla chiesa, la disciplina della chiesa, l'interesse per la formazione e per la crescita, la conduzione della chiesa. Questo richiamo è salutare, anche in ambienti diversi da quelli nordamericani che possono essere ammaliati dalle "ricette" per la crescita facile. Infatti, se viene isolata dai criteri biblici della fedeltà all'evangelo, la crescita di per sé scade ad un'operazione di mero marketing religioso che produce clienti bizzosi, più che discepoli di Gesù Cristo. Per l'A., invece, "abbiamo bisogno di chie­se nelle quali l'indicatore chiave del suc­cesso non consista nei risultati evidenti, ma sia la perseveranza nella fedeltà biblica" (21). Nessuna chiesa è perfetta, ma grazie a Dio, ciò non vuoi dire che una chiesa comunque imperfetta non possa essere biblicamente sana.

Leonardo De Chirico

Lezioni ai miei studenti (vol.1)

CHARLES H. SPURGEON

Recensione pubblicata su ICN-News.com il 21/02/04 nella rubrica "Lunedì letterario

Nel corso del suo straordinario ministero, Spurgeon (1834-1892) si dedicò con grande impegno alla formazione di giovani predicatori. Il Pastor’s College, istituito a Londra nel 1856, fu un’istituzione attraverso la quale molti studenti passarono prima di svolgere il ministero pastorale. Ancora oggi, il College (che si chiama Spurgeon’s College) continua quella missione.

Oltre ad essere la persona di riferimento del College, Spurgeon teneva delle conversazioni agli studenti alla fine della settimana di lavoro.

In stile colloquiale, il grande predicatore evangelico tornava sui grandi temi del ministero cristiano: la vigilanza di sé stesso, la chiamata al ministero, la vita di preghiera, il contenuto dei sermoni, l’uso della voce (si tenga presente che a quel tempo non esistevano sistemi di amplificazione). Spesso intrecciando principi biblici a ricordi autobiografici, Spurgeon esortava gli allievi a misurarsi con uno standard scritturale del lavoro pastorale. Pieno di verve, a tratti trascinante, è il capitolo su come tener desta l’attenzione di un uditorio che ha la tendenza a distrarsi. Semplicemente magnifico è il capitolo sulle crisi di scoraggiamento che il predicatore può sperimentare.

Per quanto riguarda le buone abitudini del ministero, Spurgeon sottolinea con forza la disciplina dello studio e della meditazione. Tra le opere vivamente consigliate a ogni predicatore, un posto di preminenza spetta al Commentario alla Bibbia del puritano Matthew Henry. Visto che quest’opera è, grazie a Dio, disponibile anche in italiano, vale la pena di sentire cosa dice Spurgeon in proposito: «avendo ricordato il Commentario di Matthew Henry, oserei dire che non esiste, per qualunque ministro, investimento migliore dell’acquisto di questa impareggiabile esposizione. Procuratevelo, anche a costo di vendervi il cappotto!» (331). Per Spurgeon, è meglio patire il freddo che essere privi dell’opera di Henry!

Queste lezioni sono ottimamente tradotte in italiano, anche quando Spurgeon gioca abilmente con le parole o fa riferimento ad autori della letteratura classica e moderna. L’unica svista riguarda Walter Scott (p. 334, n. 1), che è un celebre scrittore, non inglese come erroneamente riportato, ma scozzese. Come si sa, i sudditi del Regno Unito sono molto sensibili a questi particolari! In ogni caso, ogni predicatore dovrebbe leggere queste lezioni, in attesa del secondo volume che completerà la traduzione dell’intera opera originale.

Leonardo De Chirico

La chiamata al ministero

ALBERT N. MARTIN

Recensione di Marco Tatriele, pubblicata su «Studi di teologia», 28, 2002/2, pp. 216

In questo libro, pubblicato dalla casa editrice Alfa & Omega nell'ambito della collana "Il ministero pastorale", l'A. si prefigge di analizzare dettagliatamente l'argomento della chiamata al ministero pastorale. L'A., che possiede un'esperienza pastorale di oltre quarant'anni, esamina questo tema suddividendolo almeno in cinque capitoli: "Sei ragioni sbagliate per cui alcuni aspirano al ministero"; "Quattro elementi essenziali di una chiamata genuina al ministero"; "Le capacità intellettuali necessarie per svolgere l'opera pastorale"; "I doni spirituali necessari per svolgere il ministero pastorale"; "Le capacità tecniche necessarie per svolgere l'opera pastorale".

Questi punti denotano la serietà e la profondità nell'approccio all'argomento. Infatti l'A. spazia in lungo e in largo sui vari aspetti intorno al ministero pastorale: dalla chiamata di Dio alla responsabilità della chiesa, dagli insani desideri alle giuste ambizioni, passando attraverso la responsabilità dell'individuo. Comunque va sottolineato che, pur apprezzando profondamente la fondatezza biblica e la praticità del libro, l'obiettivo di dimostrare, da un lato, l'insufficienza del solo desiderio e, dall'altro, la necessità della verifica e del riscontro del ministero, abbia fatto pendere la bilancia più sugli aspetti da evitare piuttosto che sottolineare gli aspetti positivi della chiamata da parte di Dio e il senso vocazionale del ministero pastorale.

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