IL PESO DELL’ETERNO

Ian Macpherson

 

 

INDICE

Prefazione

Introduzione

Capitolo 1

I pesi che il predicatore deve portare

Capitolo 2

Il modo di predicare il peso dell’Eterno

Capitolo 3

Applicazioni pratiche

 

 

Estratto del capitolo 1

I PESI CHE IL PREDICATORE DEVE PORTARE

Ci sono almeno quattro pesanti fardelli che un ministro di Cristo deve portare con sé sul pulpito. Li esamineremo in ordine.

 

Il peso dell’eternità

[…]

 

Il peso della propria peccaminosità

[…]

 

Il peso per le anime

[…]

 

Il peso dell’Eterno

Se è vero che il ministro della Parola deve portare i pesi che fin qui abbiamo considerato, è altrettanto vero che ve n’è uno che, prima degli altri, ogni pastore ha il dovere e il privilegio di portare, e senza il quale è squalificato completamente dalla predicazione. La responsabilità peculiare e inalienabile del ministro di Cristo è quella di portare un peso: il peso dell’Eterno.

Il motivo di questa affermazione sarà chiarito mentre esamineremo la natura e la funzione della predicazione cristiana. Dopo tutto, cos’è la predicazione cristiana? Osserviamo con quali termini il Nuovo Testamento si riferisce di norma alla natura e alla sostanza della predicazione cristiana. Le Scritture non parlano della predicazione di una religione e nemmeno della predicazione del cristianesimo. Ci sorprenderà anche scoprire che non parlano così spesso come ci saremmo aspettati della predicazione del Vangelo! Di cosa parlano dunque? Le Scritture del Nuovo Testamento parlano della predicazione di Cristo!

Qualora si dovessero chiedere delle evidenze, ce ne sarebbero molte da citare. Cosa dice la Scrittura della predicazione di Pietro e degli altri apostoli? Essa dice: «Non cessavano di insegnare e di portare il lieto messaggio che Gesù è il Cristo» (Atti 5:42). E cosa dice quando menziona il ministero di Filippo l’evangelista? «Filippo, disceso nella città di Samaria, vi predicò il Cristo» (Atti 8:5). Cosa accadde subito dopo che Saulo da Tarso fu convertito improvvisamente e in modo drammatico sulla via di Damasco? Saulo “si mise subito a predicare nelle sinagoghe che Gesù è il Figlio di Dio” (Atti 9:20).

Non si può insistere abbastanza nel dichiarare che il contenuto essenziale, letteralmente essenziale, della predicazione cristiana primitiva non consisteva in una raccolta di regole etiche, né in una teoria filosofica o in un programma sociale. Non consisteva nemmeno nell’annuncio di una serie d’eventi fenomenali, anche se essa proclamava degli avvenimenti davvero straordinari! Il contenuto peculiare della predicazione cristiana primitiva si riassume in una sola parola: Cristo!

«Noi predichiamo Cristo» (I Corinzi 1:23). Quest’affermazione è molto profonda, più profonda di quanto non sembri a prima vista. Non bisogna pensare ad una semplice predicazione su Cristo. Si può predicare a riguardo di  Confucio, di Socrate, di Budda o di Maometto, come si può anche predicare su Cristo. Ciò nondimeno, non è questo il significato della predicazione secondo il Nuovo Testamento. Secondo la Scrittura, la predicazione non è una discussione relativa a Cristo, bensì l’annuncio di Cristo stesso! E non è possibile predicare nello stesso senso Confucio, Socrate, Budda, o Maometto.

La predicazione cristiana, pertanto, non è il proferire parole intessute, più o meno abilmente, sul telaio dell’arte oratoria e letteraria. È infinitamente di più: è la comunicazione della Parola. È portare e comunicare un peso, e questo è il peso dell’Eterno. Non sto parlando solo del peso che il Signore affida, ma di quel peso che è costituito dalla persona stessa del Signore!

Queste considerazioni ci mostrano che la predicazione è una realtà augusta, sublime, che incute riverenza. Si tratta di un atto soprannaturale: la comunicazione di una Persona attraverso una persona ad un gruppo di persone. E la persona comunicata è l’eterno Figlio di Dio, il Signore Gesù Cristo.

Ogni vero sermone è una Betlemme: sopra di esso brilla la stella ed è circondato da una gloriosa moltitudine dell’esercito celeste che loda Dio. All’udire il suo messaggio, i saggi portano i loro doni e si prostrano, mentre il mondo si rallegra per la venuta del Salvatore. Com’è vero che storicamente Cristo è venuto al mondo mediante il corpo di Maria, “quando l’umile vergine ebrea divenne la madre del suo Dio”, è altrettanto vero che oggi, spiritualmente, Cristo viene ancora nel mondo mediante un vero predicatore!

Non è una mera curiosità linguistica che, in alcune versioni latine del Nuovo Testamento, il nome usato per tradurre logos nei versetti iniziali del vangelo di Giovanni sia sermo. È questo il termine da cui deriva direttamente il nostro “sermone”. Per sentire pienamente la forza di questo fatto evidente, è necessario studiare il prologo del quarto Vangelo sostituendo ogni volta il termine “Parola” con “Sermone”. Ascoltate: «Nel principio era il Sermone, il Sermone era con Dio, e il Sermone era Dio». C’è forse qualcuno che ha il coraggio di esprimersi così circa i suoi discorsi dal pulpito? Può un predicatore affermare razionalmente che le sue predicazioni devono essere classificate secondo questa categoria? Il solo pensarlo può sembrare ardito e presuntuoso, ma nella misura in cui ciò che predica è genuinamente ispirato e non difettoso, né distorto a causa della sua fragilità umana e dei suoi errori, nella stessa misura il predicatore può vantarsi di questa stupenda realtà.

Campbell Morgan, nel suo pregiato libretto intitolato Preaching, ci ricorda qualcosa di significativo, ossia che non c’è nulla che autorizzi la distinzione fatta nelle nostre versioni volgari tra il termine “parola” scritto con la maiuscola e con la minuscola. Nell’originale nulla corrisponde a questa distinzione. Pensate, allora, alle implicazioni di questa riflessione. Forse le capiremo meglio affiancando due citazioni. Ecco la prima: «E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi» (Giovanni 1:14); ed ecco l’altra: «Lo Spirito Santo vietò loro di annunziare la parola in Asia» (Atti 16:6). Noterete che i traduttori, nel primo caso, hanno usato la “P” maiuscola, mentre nel secondo la “p” minuscola. Perché? Probabilmente perché hanno agito in base a quello che ritenevano più giusto. Ma erano proprio nel giusto? Nient’affatto, perché questa procedura non ha alcun fondamento nell’originale. In entrambi i casi è usato lo stesso vocabolo.

L’importanza di questo fatto rispetto allo studio della predicazione è ovvia. Esso regola e riordina per intero l’argomento dell’omiletica. Perché, se è così, ne consegue che la predicazione non è un qualcosa di debole, bensì una realtà sublime e tremenda. È nientemeno che la comunicazione vocale da parte di una persona consacrata al ministero della predicazione della Parola eterna, del Cristo eterno.

Non è proprio così che i grandi predicatori della storia hanno interpretato il loro imponente compito? «Se i cieli più alti fossero il mio pulpito – esclamò un antico padre della chiesa - e tutto l’esercito dei redenti il mio uditorio, solo Gesù sarebbe il mio testo!» Lutero dichiarò: «Noi predichiamo Cristo e soltanto Cristo, vero Dio e vero uomo… Potrebbe sembrare un soggetto limitato e monotono e che si esaurisce presto, eppure non si giunge mai ad esaurirlo». Alexander Maclaren, nel riesaminare i faticosi anni del suo potente ministero a Manchester, poteva confessare: «Ho provato a predicare Gesù Cristo. Non solo il Cristo dei vangeli, ma il Cristo dei vangeli e delle epistole». È palese che questi eccellenti ministri ritenevano di essere stati chiamati a portare, prima di ogni altra cosa, il peso dell’Eterno.

Sia dunque chiaro (mi rivolgo a coloro che aspirano al ministero) qual è il vostro dovere principale. Esso non consiste nell’analisi di dogmi morti, né nella produzione di raffinatissime speculazioni teologiche, né nell’organizzazione di un gruppo sociale, né nell’interpretazione di problemi politici ed economici! Il vostro dovere principale consiste nel portare il peso dell’Eterno. Dovete portare Cristo alla gente. Attraverso di voi, come avvenne con Maria in passato, Dio stesso deve venire nel mondo in modo onnipotente.

In questo processo non v’è nulla d’automatico o di meccanico. Sarebbe un errore considerare la personalità del predicatore come una sorta di conduttura, per la quale passa la Parola come fa l’acqua in un tubo. Piuttosto, essa può essere paragonata al tronco di un albero in vegetazione, le cui fibre distillano tutte linfa vitale.

Quando la Parola nacque da Maria non venne al mondo magicamente, senza partecipare alla natura di lei né assimilando la sua sostanza. Al contrario, partecipando alla sua carne e al suo sangue, Cristo fece sì che la vergine fosse coinvolta in quanto accadeva con ogni parte del suo essere. Lo stesso avviene nel caso del predicatore e del suo messaggio. Quando, nella vera predicazione, la Parola è comunicata in modo vivente, la personalità del predicatore non è dormiente né passiva. Lungi da noi una cosa siffatta! Solo quando ogni sua capacità e tutta la sua energia sono impiegate in modo completo, vigoroso e armonioso, la Parola è davvero trasmessa.

Abbiamo detto che la predicazione è anzitutto la comunicazione di una Persona mediante una persona ad un gruppo di persone e la Persona comunicata in questo modo è il Signore Gesù Cristo. Bene, se è così, c’è una conseguenza inevitabile: colui che predica davvero, predica davvero un grande soggetto!

Non dobbiamo mai dimenticare che lo Spirito Santo non visita con la sua unzione l’anima del predicatore che si diverte ad utilizzare stratagemmi omiletici, ma solo colui che afferra le grandi verità della redenzione! Il dottor Gossip, da qualche parte, parla in modo raggelante e, com’è suo solito, pittoresco, di certi predicatori che “fanno piroette” traendo spunto da alcuni testi suggestivi mantenendosi, però, sempre in superficie. Un tale atteggiamento è folle e conduce alla rovina! Per questo spero che voi non possiate mai esserne accusati giustamente.

Vi scongiuro: nei vostri sermoni non limitatevi a rosicchiare le parti più dolci del testo sacro, né fate dipendere l’equilibrio dei vostri discorsi dalle finezze retoriche o linguistiche. Abbiate il buon senso di riconoscere che l’Onnipotente non ha incentrato la dottrina della salvezza eterna su una vocale nell’ebraico, o su una preposizione nel greco. “Non siate raffinati” è stato il consiglio conciso di John Wesley ai predicatori metodisti. Evitate un ministero studiato e compassato. Fuggite come una piaga la pedanteria! Raffigurate il vostro dipinto su una grossa tela. Ricordatevi che siete chiamati a salire sul pulpito per compiere un’opera grandiosa. Per questa ragione dovete convogliare tutte le vostre energie verso il compito fondamentale. Concentratevi intensamente sul tema principale. Predicate Cristo!

A questo punto, però, siamo di fronte ad una difficoltà di ordine pratico. Si tratta del problema di occuparsi in modo appropriato di una verità sublime, di esporre in modo grandioso un tema grandioso. È terribilmente facile far passare per una cosa da poco un soggetto sublime affrontandolo in modo inadeguato! Certo, voi fate del vostro meglio; eppure tutto cade a pezzi nelle vostre mani. Non può esserci un’accusa più grande per un predicatore di quella scritta dalla mordente penna di W. R. Maltby: «Nel parlare di realtà sublimi, il predicatore le faceva diventare infime, banalizzava le cose sante e presentava il Dio altissimo come un essere da nulla». È assolutamente vitale che, secondo la grazia che ha ricevuto, il predicatore affronti in maniera grandiosa la grandiosa verità di Cristo.

Forse, l’esempio classico di questo deplorevole disprezzo delle verità centrali del cristianesimo lo abbiamo nella seguente citazione di un certo storico olandese, il quale descrive la predicazione in Germania durante la seconda metà del diciottesimo secolo. Egli afferma:

 

Chi non ha udito predicare a Natale sulla stalla e sul dovere di prendersi cura degli animali? Chi non ha ascoltato un sermone sull’importanza di ascoltare i buoni consigli nel giorno dell’Epifania? Chi, nella Domenica delle palme, non ha sentito parlare contro lo scempio delle piante? Chi non ha ascoltato, nel giorno di Pasqua, la storia dei viaggiatori sulla via di Emmaus applicata ai benefici delle lunghe camminate e dell’esercizio fisico, oppure, a Pentecoste, non ha seguito un’omelia che condannava l’ebbrezza?

 

Ecco il pulpito ridotto ai minimi termini! Non v’è nulla di peggiore del pulpito che tratta soggetti sublimi in modo triviale e rende mediocre ciò che in realtà è magnifico.

Oggigiorno, tuttavia, sembra che la maggioranza dei predicatori venga meno ricusando di trattare i soggetti più sublimi per timore di venir meno dinanzi alla loro dignità. Anche questo, però, è un grave errore. Alexander Maclaren sostiene che “un predicatore dovrebbe cominciare molto presto ad affrontare le grandi verità della Scrittura”, e continua: «Come l’atleta progredisce esercitandosi molto e facendo grandi sforzi, così il predicatore progredisce esercitandosi, studiando a fondo ed esponendo i grandi passi della Parola, e in questa lotta acquisterà sempre più forza». Inoltre, a parte questi vantaggi personali conseguiti affrontando le verità bibliche fondamentali, dovete tenere sempre presente il fatto che come predicatori e quindi, per definizione, come coloro che sono chiamati a portare il peso dell’Eterno, avete sempre la grave responsabilità di esporre in modo sublime il vostro tema o il vostro testo, perché state annunciando un messaggio eccelso.

Da questo, però, non dovete dedurre che siete obbligati a predicare quelli che sono comunemente designati come “grandi” sermoni. Questa sarebbe una conclusione errata.

Come predicatori non dovete mai prefiggervi di essere grandi; se lo farete, lo slancio stesso verso la grandezza vi abbatterà! La grandezza, se mai dovesse raggiungervi, lo farà senza che voi ve ne accorgiate. Posso ricordarvi quella singolare richiesta contenuta nell’antica liturgia dei fratelli “moravi”? «Buon Signore, liberami dal misero desiderio di diventare grande». Sia questa la nostra preghiera quotidiana, soprattutto se siamo inclini a gloriarci della nostra abilità di predicatori. Ricordatelo: finché il gallo segnavento occupa per tradizione un posto sul pinnacolo della chiesa, il pavone sul pulpito è assolutamente fuori posto (cfr. Giovanni 3:8; I Corinzi 4:7).

Scrisse Henry Ward Beecher: «Ogni giovane ambizioso vuole fare grandi cose e predicare grandi sermoni. Ma i grandi sermoni, novantanove volte su cento, procurano grandi fastidi». Senza bisogno di essere estremisti come Beecher (e in ogni caso, probabilmente, non era sua intenzione che lo fossimo perché egli stesso predicava grandi sermoni!), possiamo ugualmente riconoscere che c’è tanta verità in ciò che dice. C’è anche da dire che se trattiamo una grande verità, nonostante la consideriamo in modo insufficiente e grossolano, qualcosa della sua sublimità sarà impercettibilmente trasmessa al sermone. Dunque, non iniziate con l’idea di predicare sermoni fantastici, altrimenti rischierete di non raggiungere mai il vostro obiettivo. E ricordate che i migliori sermoni non sono mai fini a se stessi, ma hanno sempre in vista qualcosa che li trascende.

Ancora: il fatto che dobbiate predicare Cristo non implica nemmeno il dovere di “ammassare”, in un unico discorso corpulento, un intero compendio della dottrina cristiana. Cristo può essere contemplato da un’infinità di angolature e ritratto secondo una molteplicità di aspetti. Non dovete supporre di poter raccogliere tutto quanto c’è da dire su di lui in un solo sermone. Proprio come il Monte Bianco (“il grande trono bianco”, come lo chiamava Frances Ridley Havergal) appare sotto una luce nuova e diversa ogni volta che lo si osserva da una posizione differente, così Cristo appare ogni giorno cangiante ad un cristiano che cresce nella grazia. Badate: non è il Signore a cambiare veramente, ma è la nostra conoscenza a svilupparsi ed a far crescere il nostro senso di meraviglia.

Un sermone non può fare altro che esaminare ed esporre un singolo aspetto della sua gloria infinita. E poi, basta un pizzico di buon senso per comprendere che è un modo d’agire davvero poco saggio quello di ammassare in un unico discorso tutti i nostri pensieri! È meglio dare retta alla sapienza espressa dall’aforisma di William Taylor di New York: «Conservate qualcosa per la prossima volta».

 

 

Gli argomenti del capitolo 2

IL MODO DI PREDICARE IL PESO DELL’ETERNO

Predicate Cristo in modo evangelistico,, ossia come Salvatore e Signore

[…]

 

Predicate Cristo eticamente, ossia come Maestro ed Esempio

[…]

 

Predicate Cristo in senso escatologico, ossia come Giudice e Sovrano

[…]