IL PESO DELL’ETERNO
INDICE
Prefazione
Introduzione
I pesi che il predicatore deve portare
Il modo di predicare il peso dell’Eterno
Capitolo 3
Applicazioni pratiche
Estratto del capitolo 1
I PESI CHE IL PREDICATORE DEVE PORTARE
Ci sono almeno quattro pesanti fardelli che un
ministro di Cristo deve portare con sé sul pulpito. Li esamineremo in ordine.
[…]
[…]
[…]
Se è vero che
il ministro della Parola deve portare i pesi che fin qui abbiamo considerato, è
altrettanto vero che ve n’è uno che, prima degli altri, ogni pastore ha
il dovere e il privilegio di portare, e senza il quale è squalificato
completamente dalla predicazione. La responsabilità peculiare e inalienabile
del ministro di Cristo è quella di portare un peso: il peso dell’Eterno.
Il
motivo di questa affermazione sarà chiarito mentre esamineremo la natura e la
funzione della predicazione cristiana. Dopo tutto, cos’è la predicazione
cristiana? Osserviamo con quali termini il Nuovo Testamento si riferisce di
norma alla natura e alla sostanza della predicazione cristiana. Le Scritture
non parlano della predicazione di una religione e nemmeno della predicazione
del cristianesimo. Ci sorprenderà anche scoprire che non parlano così spesso
come ci saremmo aspettati della predicazione del Vangelo! Di cosa parlano
dunque? Le Scritture del Nuovo Testamento parlano della predicazione di Cristo!
Qualora
si dovessero chiedere delle evidenze, ce ne sarebbero molte da citare. Cosa
dice la Scrittura della predicazione di Pietro e degli altri apostoli? Essa
dice: «Non cessavano di insegnare e di portare il lieto messaggio che Gesù è il
Cristo» (Atti 5:42). E cosa dice quando menziona il ministero di Filippo
l’evangelista? «Filippo, disceso nella città di Samaria, vi predicò il Cristo»
(Atti 8:5). Cosa accadde subito dopo che Saulo da Tarso fu convertito
improvvisamente e in modo drammatico sulla via di Damasco? Saulo “si mise
subito a predicare nelle sinagoghe che Gesù è il Figlio di Dio” (Atti 9:20).
Non
si può insistere abbastanza nel dichiarare che il contenuto essenziale,
letteralmente essenziale, della predicazione cristiana primitiva non consisteva
in una raccolta di regole etiche, né in una teoria filosofica o in un programma
sociale. Non consisteva nemmeno nell’annuncio di una serie d’eventi fenomenali,
anche se essa proclamava degli avvenimenti davvero straordinari! Il contenuto
peculiare della predicazione cristiana primitiva si riassume in una sola
parola: Cristo!
«Noi
predichiamo Cristo» (I Corinzi 1:23). Quest’affermazione è molto profonda, più
profonda di quanto non sembri a prima vista. Non bisogna pensare ad una
semplice predicazione su Cristo. Si può predicare a riguardo di Confucio, di Socrate, di Budda o di
Maometto, come si può anche predicare su Cristo. Ciò nondimeno, non è questo il
significato della predicazione secondo il Nuovo Testamento. Secondo la Scrittura,
la predicazione non è una discussione relativa a Cristo, bensì l’annuncio di Cristo
stesso! E non è possibile predicare nello stesso senso Confucio, Socrate,
Budda, o Maometto.
La
predicazione cristiana, pertanto, non è il proferire parole intessute, più o
meno abilmente, sul telaio dell’arte oratoria e letteraria. È infinitamente di
più: è la comunicazione della Parola. È portare e comunicare un
peso, e questo è il peso dell’Eterno. Non sto parlando solo del peso che il
Signore affida, ma di quel peso che è costituito dalla persona stessa del
Signore!
Queste
considerazioni ci mostrano che la predicazione è una realtà augusta, sublime,
che incute riverenza. Si tratta di un atto soprannaturale: la comunicazione di
una Persona attraverso una persona ad un gruppo di persone. E la
persona comunicata è l’eterno Figlio di Dio, il Signore Gesù Cristo.
Ogni
vero sermone è una Betlemme: sopra di esso brilla la stella ed è circondato da
una gloriosa moltitudine dell’esercito celeste che loda Dio. All’udire il suo
messaggio, i saggi portano i loro doni e si prostrano, mentre il mondo si
rallegra per la venuta del Salvatore. Com’è vero che storicamente Cristo è
venuto al mondo mediante il corpo di Maria, “quando l’umile vergine ebrea
divenne la madre del suo Dio”, è altrettanto vero che oggi, spiritualmente,
Cristo viene ancora nel mondo mediante un vero predicatore!
Non
è una mera curiosità linguistica che, in alcune versioni latine del Nuovo
Testamento, il nome usato per tradurre logos nei versetti iniziali del
vangelo di Giovanni sia sermo. È questo il termine da cui deriva
direttamente il nostro “sermone”. Per sentire pienamente la forza di questo
fatto evidente, è necessario studiare il prologo del quarto Vangelo sostituendo
ogni volta il termine “Parola” con “Sermone”. Ascoltate: «Nel principio era il
Sermone, il Sermone era con Dio, e il Sermone era Dio». C’è forse qualcuno che
ha il coraggio di esprimersi così circa i suoi discorsi dal pulpito? Può un
predicatore affermare razionalmente che le sue predicazioni devono essere
classificate secondo questa categoria? Il solo pensarlo può sembrare ardito e
presuntuoso, ma nella misura in cui ciò che predica è genuinamente ispirato e
non difettoso, né distorto a causa della sua fragilità umana e dei suoi errori,
nella stessa misura il predicatore può vantarsi di questa stupenda realtà.
Campbell
Morgan, nel suo pregiato libretto intitolato Preaching, ci ricorda
qualcosa di significativo, ossia che non c’è nulla che autorizzi la distinzione
fatta nelle nostre versioni volgari tra il termine “parola” scritto con la
maiuscola e con la minuscola. Nell’originale nulla corrisponde a questa
distinzione. Pensate, allora, alle implicazioni di questa riflessione. Forse le
capiremo meglio affiancando due citazioni. Ecco la prima: «E la Parola è
diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi» (Giovanni 1:14); ed ecco
l’altra: «Lo Spirito Santo vietò loro di annunziare la parola in Asia» (Atti
16:6). Noterete che i traduttori, nel primo caso, hanno usato la “P” maiuscola,
mentre nel secondo la “p” minuscola. Perché? Probabilmente perché hanno agito
in base a quello che ritenevano più giusto. Ma erano proprio nel giusto?
Nient’affatto, perché questa procedura non ha alcun fondamento nell’originale.
In entrambi i casi è usato lo stesso vocabolo.
L’importanza
di questo fatto rispetto allo studio della predicazione è ovvia. Esso regola e
riordina per intero l’argomento dell’omiletica. Perché, se è così, ne consegue
che la predicazione non è un qualcosa di debole, bensì una realtà sublime e
tremenda. È nientemeno che la comunicazione vocale da parte di una persona
consacrata al ministero della predicazione della Parola eterna, del Cristo
eterno.
Non
è proprio così che i grandi predicatori della storia hanno interpretato il loro
imponente compito? «Se i cieli più alti fossero il mio pulpito – esclamò un
antico padre della chiesa - e tutto l’esercito dei redenti il mio uditorio,
solo Gesù sarebbe il mio testo!» Lutero dichiarò: «Noi predichiamo Cristo e
soltanto Cristo, vero Dio e vero uomo… Potrebbe sembrare un soggetto limitato e
monotono e che si esaurisce presto, eppure non si giunge mai ad esaurirlo».
Alexander Maclaren, nel riesaminare i faticosi anni del suo potente ministero a
Manchester, poteva confessare: «Ho provato a predicare Gesù Cristo. Non solo il
Cristo dei vangeli, ma il Cristo dei vangeli e delle epistole». È palese che
questi eccellenti ministri ritenevano di essere stati chiamati a portare, prima
di ogni altra cosa, il peso dell’Eterno.
Sia
dunque chiaro (mi rivolgo a coloro che aspirano al ministero) qual è il vostro
dovere principale. Esso non consiste nell’analisi di dogmi morti, né nella
produzione di raffinatissime speculazioni teologiche, né nell’organizzazione di
un gruppo sociale, né nell’interpretazione di problemi politici ed economici!
Il vostro dovere principale consiste nel portare il peso dell’Eterno. Dovete
portare Cristo alla gente. Attraverso di voi, come avvenne con Maria in
passato, Dio stesso deve venire nel mondo in modo onnipotente.
In
questo processo non v’è nulla d’automatico o di meccanico. Sarebbe un errore
considerare la personalità del predicatore come una sorta di conduttura, per la
quale passa la Parola come fa l’acqua in un tubo. Piuttosto, essa può essere
paragonata al tronco di un albero in vegetazione, le cui fibre distillano tutte
linfa vitale.
Quando
la Parola nacque da Maria non venne al mondo magicamente, senza partecipare
alla natura di lei né assimilando la sua sostanza. Al contrario, partecipando
alla sua carne e al suo sangue, Cristo fece sì che la vergine fosse coinvolta in
quanto accadeva con ogni parte del suo essere. Lo stesso avviene nel caso del
predicatore e del suo messaggio. Quando, nella vera predicazione, la Parola è
comunicata in modo vivente, la personalità del predicatore non è dormiente né
passiva. Lungi da noi una cosa siffatta! Solo quando ogni sua capacità e tutta
la sua energia sono impiegate in modo completo, vigoroso e armonioso, la Parola
è davvero trasmessa.
Abbiamo
detto che la predicazione è anzitutto la comunicazione di una Persona mediante
una persona ad un gruppo di persone e la Persona comunicata in questo
modo è il Signore Gesù Cristo. Bene, se è così, c’è una conseguenza
inevitabile: colui che predica davvero, predica davvero un grande soggetto!
Non
dobbiamo mai dimenticare che lo Spirito Santo non visita con la sua unzione
l’anima del predicatore che si diverte ad utilizzare stratagemmi omiletici, ma
solo colui che afferra le grandi verità della redenzione! Il dottor Gossip, da
qualche parte, parla in modo raggelante e, com’è suo solito, pittoresco, di
certi predicatori che “fanno piroette” traendo spunto da alcuni testi
suggestivi mantenendosi, però, sempre in superficie. Un tale atteggiamento è
folle e conduce alla rovina! Per questo spero che voi non possiate mai esserne
accusati giustamente.
Vi
scongiuro: nei vostri sermoni non limitatevi a rosicchiare le parti più dolci
del testo sacro, né fate dipendere l’equilibrio dei vostri discorsi dalle
finezze retoriche o linguistiche. Abbiate il buon senso di riconoscere che
l’Onnipotente non ha incentrato la dottrina della salvezza eterna su una vocale
nell’ebraico, o su una preposizione nel greco. “Non siate raffinati” è stato il
consiglio conciso di John Wesley ai predicatori metodisti. Evitate un ministero
studiato e compassato. Fuggite come una piaga la pedanteria! Raffigurate il
vostro dipinto su una grossa tela. Ricordatevi che siete chiamati a salire sul
pulpito per compiere un’opera grandiosa. Per questa ragione dovete convogliare
tutte le vostre energie verso il compito fondamentale. Concentratevi
intensamente sul tema principale. Predicate Cristo!
A
questo punto, però, siamo di fronte ad una difficoltà di ordine pratico. Si
tratta del problema di occuparsi in modo appropriato di una verità sublime, di
esporre in modo grandioso un tema grandioso. È terribilmente facile far passare
per una cosa da poco un soggetto sublime affrontandolo in modo inadeguato!
Certo, voi fate del vostro meglio; eppure tutto cade a pezzi nelle vostre mani.
Non può esserci un’accusa più grande per un predicatore di quella scritta dalla
mordente penna di W. R. Maltby: «Nel parlare di realtà sublimi, il predicatore
le faceva diventare infime, banalizzava le cose sante e presentava il Dio
altissimo come un essere da nulla». È assolutamente vitale che, secondo la
grazia che ha ricevuto, il predicatore affronti in maniera grandiosa la
grandiosa verità di Cristo.
Forse,
l’esempio classico di questo deplorevole disprezzo delle verità centrali del
cristianesimo lo abbiamo nella seguente citazione di un certo storico olandese,
il quale descrive la predicazione in Germania durante la seconda metà del
diciottesimo secolo. Egli afferma:
Chi non ha udito
predicare a Natale sulla stalla e sul dovere di prendersi cura degli animali?
Chi non ha ascoltato un sermone sull’importanza di ascoltare i buoni consigli
nel giorno dell’Epifania? Chi, nella Domenica delle palme, non ha sentito
parlare contro lo scempio delle piante? Chi non ha ascoltato, nel giorno di
Pasqua, la storia dei viaggiatori sulla via di Emmaus applicata ai benefici
delle lunghe camminate e dell’esercizio fisico, oppure, a Pentecoste, non ha
seguito un’omelia che condannava l’ebbrezza?
Ecco il pulpito
ridotto ai minimi termini! Non v’è nulla di peggiore del pulpito che tratta
soggetti sublimi in modo triviale e rende mediocre ciò che in realtà è
magnifico.
Oggigiorno,
tuttavia, sembra che la maggioranza dei predicatori venga meno ricusando di
trattare i soggetti più sublimi per timore di venir meno dinanzi alla loro
dignità. Anche questo, però, è un grave errore. Alexander Maclaren sostiene che
“un predicatore dovrebbe cominciare molto presto ad affrontare le grandi verità
della Scrittura”, e continua: «Come l’atleta progredisce esercitandosi molto e
facendo grandi sforzi, così il predicatore progredisce esercitandosi, studiando
a fondo ed esponendo i grandi passi della Parola, e in questa lotta acquisterà
sempre più forza». Inoltre, a parte questi vantaggi personali conseguiti
affrontando le verità bibliche fondamentali, dovete tenere sempre presente il
fatto che come predicatori e quindi, per definizione, come coloro che sono
chiamati a portare il peso dell’Eterno, avete sempre la grave responsabilità di
esporre in modo sublime il vostro tema o il vostro testo, perché state
annunciando un messaggio eccelso.
Da
questo, però, non dovete dedurre che siete obbligati a predicare quelli che
sono comunemente designati come “grandi” sermoni. Questa sarebbe una
conclusione errata.
Come
predicatori non dovete mai prefiggervi di essere grandi; se lo farete, lo
slancio stesso verso la grandezza vi abbatterà! La grandezza, se mai dovesse
raggiungervi, lo farà senza che voi ve ne accorgiate. Posso ricordarvi quella
singolare richiesta contenuta nell’antica liturgia dei fratelli “moravi”? «Buon
Signore, liberami dal misero desiderio di diventare grande». Sia questa la
nostra preghiera quotidiana, soprattutto se siamo inclini a gloriarci della
nostra abilità di predicatori. Ricordatelo: finché il gallo segnavento occupa
per tradizione un posto sul pinnacolo della chiesa, il pavone sul pulpito è
assolutamente fuori posto (cfr. Giovanni 3:8; I Corinzi 4:7).
Scrisse
Henry Ward Beecher: «Ogni giovane ambizioso vuole fare grandi cose e predicare
grandi sermoni. Ma i grandi sermoni, novantanove volte su cento, procurano
grandi fastidi». Senza bisogno di essere estremisti come Beecher (e in ogni
caso, probabilmente, non era sua intenzione che lo fossimo perché egli
stesso predicava grandi sermoni!), possiamo ugualmente riconoscere che c’è
tanta verità in ciò che dice. C’è anche da dire che se trattiamo una grande
verità, nonostante la consideriamo in modo insufficiente e grossolano, qualcosa
della sua sublimità sarà impercettibilmente trasmessa al sermone. Dunque, non
iniziate con l’idea di predicare sermoni fantastici, altrimenti rischierete di
non raggiungere mai il vostro obiettivo. E ricordate che i migliori sermoni non
sono mai fini a se stessi, ma hanno sempre in vista qualcosa che li trascende.
Ancora:
il fatto che dobbiate predicare Cristo non implica nemmeno il dovere di
“ammassare”, in un unico discorso corpulento, un intero compendio della
dottrina cristiana. Cristo può essere contemplato da un’infinità di angolature
e ritratto secondo una molteplicità di aspetti. Non dovete supporre di poter
raccogliere tutto quanto c’è da dire su di lui in un solo sermone. Proprio come
il Monte Bianco (“il grande trono bianco”, come lo chiamava Frances Ridley
Havergal) appare sotto una luce nuova e diversa ogni volta che lo si osserva da
una posizione differente, così Cristo appare ogni giorno cangiante ad un cristiano
che cresce nella grazia. Badate: non è il Signore a cambiare veramente, ma è la
nostra conoscenza a svilupparsi ed a far crescere il nostro senso di
meraviglia.
Un
sermone non può fare altro che esaminare ed esporre un singolo aspetto della
sua gloria infinita. E poi, basta un pizzico di buon senso per comprendere che
è un modo d’agire davvero poco saggio quello di ammassare in un unico discorso
tutti i nostri pensieri! È meglio dare retta alla sapienza espressa
dall’aforisma di William Taylor di New York: «Conservate qualcosa per la
prossima volta».
IL MODO DI PREDICARE IL PESO DELL’ETERNO
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