UN DISCORSO SULLA
MEDITAZIONE
«...e su quella legge
medita giorno e notte»
Salmi
1:2
INDICE
I. La natura della meditazione
II. La meditazione è un dovere
III. La
differenza tra meditare e memorizzare
IV. La
differenza tra meditare e studiare
V. I soggetti su cui meditare
VI. La
necessità della meditazione
VII. Applicazioni
VIII. Obiezioni
IX. Meditazioni
occasionali e programmate
X. Le ore migliori per meditare
XI. Il
tempo da dedicare alla meditazione
XII. L’utilità
della meditazione
XIII. L’eccellenza
della meditazione
XIV. Motivi
che ci inducono alla meditazione
XV Alcuni
suggerimenti su come meditare
La grazia di Dio genera in noi il diletto nel
Signore e questo, a sua volta, ci spinge all’esercizio della meditazione. La
meditazione costituisce l’essenza della vera religiosità e il nutrimento della
pietà. Il Salmista, onde mostrare che per l’uomo pio la meditazione è
un’abitudine ed una pratica quotidiana, dopo aver affermato che il suo diletto
è nella legge del Signore, aggiunge: «...e su quella legge medita giorno e
notte» (Salmi 1:2b). Quando leggiamo che costui medita sulla legge del Signore
“giorno e notte” non dobbiamo pensare che Dio ci chiami a meditare
ininterrottamente. Piuttosto, bisogna intendere la costanza nella pratica
quotidiana di tale esercizio spirituale. Allo stesso modo, quando la Parola di
Dio ci comanda di non cessare mai di pregare (I Tessalonicesi 5:17), questo non
significa che dobbiamo essere sempre raccolti in preghiera, ma che, ogni
giorno, dovremmo dedicare del tempo a questa attività spirituale. Nell’Antico
Testamento leggiamo di un sacrificio detto “olocausto perpetuo” (Numeri 28:23,
Riveduta). Questo nome non gli era stato attribuito perché era compiuto in
continuazione dal popolo d’Israele, ma perché doveva essere offerto ogni
mattina e ogni sera, sempre alla stessa ora. Così l’uomo pio medita la Parola
di Dio giorno e notte nel senso che questa attività, per lui, non è sporadica o
occasionale.
L’insegnamento
che otteniamo da questo passo è il seguente: buon cristiano è colui che
dedica regolarmente parte del suo tempo alla meditazione. «Io mediterò sui
tuoi precetti» (Salmi 119:15). «Medita queste cose» (I Timoteo 4:15, Diodati).
Meditare vuol dire “ruminare” le verità che abbiamo ascoltato. Quel cristiano
che non pratica la meditazione è come gli animali dell’Antico Testamento che
non ruminavano, i quali erano considerati impuri. Meditare è come annaffiare un
seme: fa sbocciare i fiori e crescere i frutti della grazia nella nostra vita.
Il
nostro tema si articolerà secondo le seguenti riflessioni:
• la natura della meditazione;
• la meditazione è un dovere;
• la differenza tra meditare e
memorizzare;
• la differenza tra meditare e
studiare;
• i soggetti della
meditazione;
• la necessità della
meditazione.
Capitolo
uno
Achi mi domanda cosa sia la meditazione, rispondo
che essa è il raccogliersi dell’anima in se stessa, affinché, concentrando
solennemente e profondamente i propri pensieri su Dio, nel cuore sorgano dei
santi sentimenti.
Consideriamo
i tre aspetti di questa definizione.
1.
Innanzitutto la meditazione è il raccogliersi dell’anima in se stessa.
Quando un cristiano si accinge a meditare deve isolarsi dal mondo perché esso
la danneggia. Se Cristo si ritirò in disparte quando doveva meditare (Matteo
14:23), dobbiamo farlo anche noi. Anche Isacco si appartò per meditare nella
campagna (Genesi 24:63). Egli si separò dalle altre cose per camminare con Dio
nella via della meditazione. Zaccheo, che voleva vedere Gesù, uscì dalla folla,
corse avanti e salì sopra un sicomoro (Luca 19:1-4). Ogni volta che vogliamo
vedere Dio, dobbiamo separarci dalla confusione generata dagli affari del mondo
e salire sull’albero della meditazione da dove possiamo avere una visione
migliore del cielo. I ritmi del mondo potrebbero addormentarci o distrarci
dalla pratica della meditazione. Quando un granello di polvere entra
nell’occhio la nostra vista viene impedita. Allo stesso modo quando un pensiero
della vita quotidiana infastidisce la nostra mente, che è l’occhio dell’anima,
essa non può elevarsi nella contemplazione delle verità celesti. Perciò, come
Abraamo lasciò i suoi servitori e l’asino ai piedi del monte, prima di offrire
il sacrificio al Signore (Genesi 22:4-5), così anche il cristiano, quando
ascende il monte della meditazione, deve posare le sollecitudini della vita ai
suoi piedi per potersi trovare solo con Dio e godere le benedizioni celesti. Il
passero non può volare con le ali sporche di fango e siccome la meditazione è
ciò che permette all’anima di elevarsi verso il cielo, quando il cristiano è
sporco delle cose della terra, non può volare verso il suo Dio. Bernardo[1],
quando arrivava alla porta della chiesa diceva ai suoi pensieri mondani:
«Rimanete qui affinché io possa avere comunione con Dio nel suo tempio».
Dunque, quando sali sul monte della meditazione bada che il mondo non ti venga
dietro per farti cadere dalle vette celesti.
2.
In secondo luogo la meditazione consiste nel concentrare solennemente e
profondamente i propri pensieri su Dio. Il termine ebraico che noi
traduciamo “meditare” significa raccogliere e riunire i pensieri con impegno
intenso. Infatti, la meditazione non può essere praticata frettolosamente o
superficialmente, ma è necessario rivolgere il cuore su un determinato oggetto
e immergere i nostri pensieri in esso. I cristiani carnali sono instabili, i
loro pensieri sono volubili e cambiano in continuazione, come un uccello che
vola da un luogo all’altro senza mai trovare una dimora fissa. Davide, invece,
sapeva meditare: «Il mio cuore è ben disposto, o Dio» (Salmi 108:1). La meditazione
richiede che i nostri pensieri rimangano concentrati su un oggetto ben preciso.
Un uomo in viaggio non si sofferma a osservare nulla, mentre un artista fissa
attentamente l’oggetto e considera le sue proporzioni e la sua simmetria,
notando ogni riflesso e ogni sfumatura. Un cristiano superficiale e carnale è
come un viaggiatore i cui pensieri vagano qua e là senza essere concentrati su
Dio. Colui che è spirituale è invece come quell’artista che con estrema serietà
medita le cose che appartengono alla vita e alla pietà (Luca 2:19).
3.
Infine, la meditazione corrisponde all’elevazione del cuore verso ciò che è
santo e spirituale. Un cristiano che medita è come un uomo infreddolito che
viene ristorato e ricreato da un bagno caldo. La pratica della meditazione cura
l’anima dalle conseguenze dell’indifferenza e della mondanità. Parleremo più a
fondo di questo argomento nelle prossime pagine.
Capitolo
due
La meditazione è uno dei doveri di ogni cristiano e
non possiamo obiettare su ciò che costituisce una nostra responsabilità.
1.
La meditazione è prima di tutto un dovere imposto, nel senso che non
dipende dal nostro arbitrio. Infatti, il Dio che ci ha comandato di credere è
anche quello che ci ha comandato di praticare la meditazione: «Questo libro
della legge non si allontani mai dalla tua bocca, ma meditalo, giorno e notte»
(Giosuè 1:8). Queste parole, pur essendo state rivolte a Giosuè, riguardano
tutti noi, come pure la promessa che gli è stata fatta è per tutti i credenti
(Giosuè 1:5; cfr. Ebrei 13:5).
2.
Inoltre la meditazione è un dovere opposto, in quanto è contrastato
dalla forza della nostra natura corrotta. Il cuore si oppone ad un dovere
buono. Quando esaminiamo onestamente noi stessi, scopriamo che la pratica della
meditazione non ci è per nulla congeniale. Infatti, siamo pronti ad ascoltare
passivamente, ma lenti nell’impegnarci a meditare. Se dovessimo pensare tutto
il giorno alle cose del mondo, saremmo contenti, ma, quando si tratta di
raccoglierci in una santa meditazione, il nostro cuore si ribella e contesta la
legittimità di questo dovere, quasi fosse una penitenza. Orbene, proprio la
riluttanza del nostro cuore malvagio è la migliore dimostrazione dell’utilità
di questo dovere. Il Signore ci comanda di rinunciare a noi stessi (Matteo
16:24), ma quanto è grande l’opposizione del nostro cuore suscitata da queste
parole! Come? Rinnegare la mia ragione per diventare saggio? Rinunciare anche
alla mia giustizia? Gettarla a mare per nuotare fino al cielo sostenuto solo
dai meriti di Cristo? Il nostro cuore è naturalmente contrario e disapprova
questo dovere. Quanto abbiamo detto serve a provare che la pratica
dell’abnegazione è utile alla nostra anima. Lo stesso vale per la meditazione: l’antipatia
che nutriamo verso questa disciplina spirituale testimonia della sua utilità.
Già questo, di per sé, è un motivo sufficiente a incoraggiarci alla
meditazione.
[1] Nel XII secolo, Bernardo di Clairvaux fu un attivo
promotore del monachesimo “cistercense”, caratterizzato da un’estrema austerità
e da un’interpretazione letterale e ascetica della regola benedettina, in
contrapposizione al decadimento monastico generale.