Il 20 maggio 325, nella città imperiale di Nicea, oggi Iznik in Turchia […], si radunarono circa trecento vescovi provenienti da ogni angolo del mondo cristiano […]. Nel corso delle settimane successive, i vescovi formularono un credo della chiesa con cui si affermava che il Figlio è pienamente Dio tanto quanto il Padre, e ciò con l’intento di demolire la nuova eresia di Ario […] e ristabilire la pace nella chiesa […].
Il credo promulgato a Nicea il 19 giugno 325 non corrisponde esattamente a ciò che oggi identifichiamo come il Credo niceno. A complicare ulteriormente la questione, molti studiosi moderni suggeriscono che non sia mai esistita una reale unità o un consenso sulla fede cristiana […]. Un altro punto importante da comprendere riguardo al periodo […] è che non si trattava di una storia di difesa di un’ortodossia concordata e consolidata contro gli assalti di un’aperta eresia. Sull’argomento in discussione non esisteva ancora una dottrina ortodossa» (R. P. C. Hanson, The Search for the Christian Doctrine of God: The Arian Controversy, 318-381, Grand Rapids, Baker Academic, 2005, p. xviii.).
Queste parole sono intense e sconvolgenti. Come si è potuti arrivare a tutto questo? In che modo un breve compendio universalmente riconosciuto della fede cristiana, ovvero il Credo niceno, è potuto emergere da una simile confusione? È davvero così che un consenso su Dio non esistette fino alla fine del IV secolo? […]
Nella società greco-romana, così come in molte società pagane, esisteva una notevole varietà nel modo di descrivere la divinità (o gli dei, il loro regno, la realtà ultima). Allo stesso tempo, esisteva una grande diversità nelle credenze su ciò che una persona dovesse fare per accedere al regno divino o, se vogliamo, per ottenere la salvezza. Ma ciò che accomunava le diverse divinità e il cammino per avvicinarle era che spettasse solo agli esseri umani compiere ciò che era necessario. Ogni religione offriva una versione di autosoterismo in competizione con le altre. Le molteplici religioni popolari del mondo romano promettevano la salvezza attraverso rituali che si pensava collegassero i fedeli a una o all’altra delle divinità romane. Al contrario, i grandi pensatori del panorama filosofico greco-romano proponevano diversi approcci comportamentali, ribadendo che l’unione con gli dèi richiedeva un impegno etico e morale, andando oltre il semplice svolgimento di pratiche rituali. Sia nelle espressioni popolari sia in quelle più elevate, le religioni pagane partivano dalla premessa che occorresse elevarsi autonomamente per raggiungere il regno divino, e che ciò era possibile.
In netto contrasto, il cristianesimo sostiene che ciò che è necessario per essere uniti al vero Dio non è qualcosa che l’essere umano possa realizzare da sé, nella sua condizione decaduta. Ne consegue, quindi, che se dobbiamo essere salvati, Dio deve scendere verso di noi. La Scrittura descrive questa discesa divina in molti modi: la chiamata di Abraamo, la liberazione di Israele dall’Egitto e l’istituzione di Israele come nazione. Ma tutti questi eventi anticipano due discese fondamentali: l’incarnazione del Figlio e la discesa dello Spirito Santo per dimorare nei credenti. In breve, la nostra salvezza si realizza perché il Figlio di Dio è disceso per vivere tra di noi, e lo Spirito Santo è disceso per vivere dentro ciascuno di noi.
Da questa logica biblico-teologica, secondo cui Dio è dovuto scendere per salvarci e questa discesa si è compiuta principalmente attraverso l’incarnazione del Figlio e l’inabitazione dello Spirito, derivano due implicazioni:
1. Il Figlio e lo Spirito devono essere pienamente e ugualmente Dio come lo è il Padre. Altrimenti, non sarebbe Dio a scendere per salvarci, e ci resterebbe l’impossibile compito di salvarci da soli.
2. Il Figlio doveva realmente scendere attraverso l’incarnazione. Altrimenti, saremmo di nuovo lasciati con l’impossibile compito di elevarci a Dio con le nostre sole forze. […]
Lo sfondo teologico di Nicea era radicato nella risposta della chiesa alla forma più alta del pensiero filosofico pagano. È importante notare che, dalla religione popolare alla filosofia greco-romana, il pensiero pagano nel mondo antico si focalizzava sui modi attraverso cui l’essere umano poteva elevarsi verso il regno divino […].
Per chi era influenzato dalle forme di pensiero greco-romane, leggere la Bibbia poteva portare facilmente a identificare il Dio biblico, il Padre, con il dio supremo del platonismo. Analogamente, il Figlio veniva associato alla Parola (non a caso, il Vangelo di Giovanni lo chiama “la Parola”), mentre lo Spirito Santo biblico poteva essere equiparato all’anima del mondo platonica. Queste assimilazioni inconsapevoli potevano indurre le persone a interpretare le numerose discussioni bibliche sull’etica come indicazioni su come ascendere a Dio. In questo modo, quando i filosofi leggevano la Bibbia attraverso una prospettiva più platonica che autenticamente biblica, si rischiava di smarrire le caratteristiche centrali del cristianesimo: non solo una Trinità, ma una Trinità composta da persone uguali, e l’insistenza sul fatto che fosse Dio a doversi avvicinare a noi […].
Per Origene, la salvezza (volendoci fidare dei principi così come li abbiamo ricevuti) consisteva nel percorso dell’anima per risalire verso Dio. In questo processo, Gesù, che non si era mai allontanato da Dio, avrebbe avuto il ruolo essenziale di guida per aiutare le anime a compiere tale cammino ascendente.
Non è difficile comprendere come questa interpretazione della vita cristiana sembri risentire eccessivamente dell’influenza del platonismo e non sia abbastanza radicata in una visione biblica del mondo. Nel testo I principi, infatti, si afferma in modo esplicito che il Figlio è inferiore al Padre e che lo Spirito è inferiore sia al Padre sia al Figlio. Questo descrive una Trinità non paritaria, tipica del platonismo, associata a una concezione platonica della salvezza, vista come il dovere degli uomini di ascendere verso Dio […].
All’inizio del IV secolo giunse ad Alessandria un uomo di nome Ario. Originario di Antiochia, una città situata sulla costa mediterranea nell’area che all’epoca apparteneva alla Siria e che oggi corrisponde al sud della Turchia. Ario aveva ricevuto la sua formazione sotto l’influenza di Luciano di Antiochia, uno dei seguaci di Origene. Nella sua visione, la salvezza era concepita come un movimento ascensionale dell’anima verso Dio, con il Figlio visto come una figura intermedia tra Dio e l’umanità, capace di guidare questo percorso […].
Ario sviluppò la convinzione di Origene, che considerava il Figlio inferiore al Padre, spingendola fino alla sua logica conclusione: se davvero vi era una linea di demarcazione tra Dio (non creato) e tutto il resto (creato da Dio), allora si deve supporre che il Figlio (che, secondo Ario, doveva essere inferiore, essendo anche lui, come Origene, influenzato dalla concezione della Trinità non paritaria) si trovi al di sotto di tale linea e, quindi, venga classificato come una creatura […].
Le audaci affermazioni di Ario nella sua lettera ad Alessandro provocarono anni di intensa corrispondenza e la convocazione di un piccolo sinodo ad Antiochia, in Siria, che condannò l’insegnamento di Ario. Il leader di quel sinodo, Osio di Cordova (Spagna), consigliere teologico di Costantino, suggerì all’imperatore di convocare un concilio più ampio per confermare la decisione del sinodo. Costantino seguì il consiglio e indisse un concilio ad Ancira (l’attuale Ankara, capitale della Turchia), ma successivamente lo trasferì a Nicomedia, più vicino alla corte imperiale, riunendosi infine a Nicea dal 20 maggio al 19 giugno 325. L’imperatore invitò tutti i 1.800 vescovi cristiani dell’Impero romano. I delegati provenivano da ogni parte del mondo romano e oltre, e le stime sulla partecipazione effettiva variavano da 250 a 318 persone […].
La questione su cosa si dovesse affermare in sostituzione dell’insegnamento di Ario si rivelò più complessa e, poiché non abbiamo verbali ufficiali del concilio, non conosciamo i dettagli esatti del suo svolgimento. Tuttavia, dai resoconti di chi era presente, sembra che diversi simboli battesimali siano stati proposti come modelli per la stesura di un credo, e che Osio abbia avuto un ruolo determinante nella formulazione del Credo di Nicea. Il nuovo credo fu formalmente ratificato il 19 giugno 325. È sorprendente che solo tre persone si rifiutarono di firmarlo: lo stesso Ario (che era un presbitero, non un vescovo) e due vescovi libici, Teona e Secondo. Tutti e tre furono esiliati e gli scritti di Ario furono condannati […].
Nicea aveva stabilito un precedente per la stesura di un credo universale, in contrasto con quelli puramente locali, la cui formulazione fosse accettata e utilizzata in tutto il mondo cristiano […]. L’eloquente conclusione di Kelly […] merita di essere menzionata: «Di tutti i credo esistenti è l’unico di cui si possa apertamente dichiarare l’ecumenicità, o accoglienza universale […]. Si tratta dunque di una delle poche fibre attraverso le quali il tessuto stracciato della veste suddivisa della cristianità è tenuto insieme» (J. N. D. Kelly, I Simboli di fede della chiesa antica, trad. Bianca Maresca, Napoli, Edizioni Dehoniane, 1987, p. 293).
| Credo di Nicea | Credo niceno-costantinopolitano |
| Crediamo in un solo Dio, Padre, onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili; E in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato dal Padre, unigenito, della sostanza [ousia] del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato e non creato, della stessa sostanza [homoousios] del Padre, per mezzo del quale tutte le cose vennero alla vita, le cose del cielo e le cose della terra, | Crediamo in un solo Dio, Padre, onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. E in un solo Signore, Gesù Cristo, il Figlio unigenito di Dio, generato dal Padre prima di tutti i secoli, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della sostanza [homoousios] del Padre; per mezzo del quale tutte le cose sono state create. |
| che per noi uomini e per la nostra salvezza discese e si incarnò, e divenne uomo, e patì e il terzo giorno risuscitò, ascese ai cieli, e verrà di nuovo a giudicare i vivi e i morti; | Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e s’incarnò per opera dello Spirito Santo e della vergine Maria e si fece uomo, fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, patì e fu sepolto, e risuscitò il terzo giorno secondo le Scritture, e salì al cielo, siede alla destra del Padre, e di nuovo verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine. |
| E nello Spirito Santo. | E nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e che procede dal Padre, che con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti; [E] in una sola Chiesa, santa cattolica e apostolica. Professiamo un solo battesimo per il perdono dei peccati, aspettiamo la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen |
| Ma come per coloro che dicono: c’era quando non era, e prima di essere nato Egli non era, e che Egli venne alla vita dal nulla, o che asseriscono che il Figlio di Dio è di una diversa ipostasi [hypostasis] o sostanza [ousia], o è soggetto ad alterazione o a cambiamento – a questi la Chiesa cattolica e apostolica lancia anatema | |
J. N. D. Kelly, I Simboli di fede della chiesa antica, cit., pp. 445, 451 (qui sono stati aggiunti i termini chiave in greco). |
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Questo articolo è un estratto dal capitolo 4 di D. FAIRBAIRN e R.M. REEVES, Storia dei credo e delle confessioni. Lo sviluppo della fede cristiana nei secoli, Caltanissetta, Alfa & Omega, 2025.
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