IO… MI VERGOGNO DEL VANGELO
QUANDO LA CHIESA DIVENTA COME IL
MONDO
John MacArthur
Prefazione all’edizione
Italiana
1 Il declino del cristianesimo
2 Una chiesa “accessibile”?
3 Voglio una religione
spettacolare!
4 Ogni cosa a tutti
5 La pazzia di Dio
6 Potenza di Dio per la salvezza
7 Paolo sull’Areòpago
8 La sovranità di Dio nella
salvezza
9 Io edificherò la mia chiesa
10 Epilogo
Appendice uno: Spurgeon
e la Controversia sul declino
Appendice due: Charles
Finney ed il Pragmatismo Evangelico
Appendice tre: Sapienza Carnale e
Sapienza dello Spirito
Prefazione
C’è apatia ovunque. A nessuno interessa più sapere se quello che viene predicato è vero o falso; un sermone è un sermone a prescindere dal contenuto, ma quello più breve è considerato il migliore!
Charles H. Spurgeon[1]
Queste parole furono scritte da Spurgeon più di un secolo fa; tuttavia descrivono
benissimo lo stato in cui versano le chiese Evangeliche oggi, alla fine del XX
secolo.
L’estate scorsa, a Londra, ho visitato la tomba di
Spurgeon. È un sepolcro di pietra, nascosto nel cimitero fra un viale ed una
grande costruzione. Se non avessi avuto una guida, non l’avrei mai trovato. I
nomi di Spurgeon e di sua moglie sono incisi sulla pietra, ma non c’è nulla che
ricordi chi egli sia stato. Potrebbe accadere che un normale visitatore non
noti affatto la pietra tombale (tutt’intorno, infatti, ce ne sono di più grandi
ed imponenti), oppure che, vedendola, non si renda nemmeno conto che quello è
il luogo di sepoltura di un uomo che, ai suoi tempi, fu forse più noto ed
influente del Primo Ministro Inglese.
Quando mi trovai di fronte alla tomba di Spurgeon,
non potei fare a meno di pensare a quanto la chiesa di oggi abbia bisogno di
uomini come lui. Spurgeon non aveva paura di schierarsi con coraggio in difesa
della verità, anche quando questo significava rimanere da solo. La sua unica
passione fu predicare la Parola di Dio. Egli ritenne che la chiesa stesse
iniziando a non sopportare più la predicazione, mentre alcuni pastori
cominciavano a sperimentare degli approcci alternativi e ad accorciare i
sermoni. In tutto ciò, egli scorse un grande pericolo e questa preoccupazione
lo portò ad impegnarsi in una battaglia che, alla fine, lo avrebbe condotto
alla morte. Era stato deposto in quella tomba esattamente cento anni prima
della mia visita.
L’atteggiamento di Spurgeon nei confronti della
predicazione è in netto contrasto con l’opinione oggi prevalente. La sua
denuncia, infatti, rappresenta una prospettiva diametralmente opposta a quella
proposta qualche anno fa dalle colonne di un popolare periodico “cristiano”. In
quella sede, un famoso predicatore esprimeva il proprio disprezzo per i
sermoni troppo lunghi. Il primo gennaio era vicino e quindi si riproponeva di
fare meglio l’anno seguente: «Ho intenzione di sprecare meno tempo ad ascoltare
lunghi sermoni e passarne di più a prepararne di brevi», scriveva. «Ho scoperto
che la gente è disposta a perdonare perfino una predicazione poco curata dal
punto di vista teologico, pur di uscire dalla chiesa prima di mezzogiorno»[2].
Purtroppo, queste parole riassumono alla
perfezione l’atteggiamento prevalente tra la maggioranza dei ministri
Evangelici. Una cattiva dottrina può anche essere tollerata, ma un sermone
troppo lungo no! A chi va in chiesa interessa molto di più la puntualità della
benedizione finale, che non il contenuto del sermone! Il pranzo domenicale e la
soddisfazione del ventre, hanno la priorità rispetto alla Scuola Domenicale e
al nutrimento dell’anima! Tirare in lungo viene considerato un peccato più
grave dell’eresia!
La chiesa si è ubriacata della filosofia mondana
del Pragmatismo ed oggi stiamo appena cominciando ad assaporarne le amare
conseguenze.
Il Pragmatismo è quella concezione secondo cui il significato o il
valore di una cosa è determinato dalle sue conseguenze pratiche. È una
prospettiva strettamente affine all’Utilitarismo, ossia all’idea che
l’utilità sia il canone che determina ciò che è buono. Per un
pragmatista/utilitarista, se una certa tecnica o una serie di azioni producono
l’effetto desiderato, allora devono considerarsi come giuste. Se, invece,
sembra che non funzionino significa che sono sbagliate.
La filosofia del Pragmatismo fu elaborata e resa
celebre, alla fine del secolo scorso, dal filosofo William James e da altri
illustri pensatori, come John Dewey e George Santayana. Fu soprattutto James a
dare nome e corpo a questa nuova filosofia. Nel 1907, pubblicò un saggio
intitolato Pragmatism: a new Name for Some Old Ways of Thinking
(Pragmatismo: un nuovo nome per vecchi modi di pensare), con cui inaugurò un
modo del tutto nuovo di rapportarsi alla verità ed alla vita.
Il Pragmatismo affonda le sue radici nel
Darwinismo e nell’Umanesimo laico. È fondamentalmente relativistico, dal
momento che rifiuta i concetti assoluti di bene e male, giusto e sbagliato,
verità ed errore. Il Pragmatismo, in definitiva, fa coincidere il vero con
l’utile e con il pertinente. Le idee che non possono essere sfruttate o che non
sembrano avere una certa rilevanza pratica, vengono respinte come false.
Cosa c’è di sbagliato nel Pragmatismo? Dopo tutto,
anche nel buon senso c’è una certa dose di legittimo Pragmatismo, non vi pare?
Se, per esempio, un rubinetto perde e, dopo aver cambiato le guarnizioni,
funziona di nuovo, è ragionevole dedurre che il problema stava proprio nelle
guarnizioni guaste. Se il medico vi prescrive un farmaco che provoca dei
dannosi effetti collaterali o che non produce alcun miglioramento, di sicuro
cercherete un altro rimedio che possa funzionare. Questi semplici esempi di
Pragmatismo sono piuttosto evidenti.
Ma quando si ricorre al Pragmatismo per formulare
giudizi in merito a ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, oppure quando ne
facciamo una filosofia di vita superiore alla dottrina e che determina la
natura del ministero pastorale, allora entrerà inevitabilmente in contrasto con
la Scrittura. Non è possibile stabilire la verità spirituale e biblica in base
a ciò che “funziona” e a ciò che “non funziona”. Ad esempio, sappiamo dalla
Scrittura che spesso il Vangelo non produce una risposta positiva (I Corinzi
1:22-23; 2:14). Al contrario, le menzogne e gli inganni di Satana possono
dimostrarsi alquanto efficaci (Matteo 24:23-24; II Corinzi 4:3-4). La reazione
della maggioranza non prova il valore di qualcosa (Matteo 7:13-14) e la
prosperità non è misura dell’integrità (Giobbe 12:6). Il Pragmatismo come filosofia
nel ministero è estremamente dannoso. Il Pragmatismo come cartina al tornasole
della verità è diabolico!
Ciononostante, il mondo Evangelico contemporaneo è
attraversato da un’imponente ondata di acceso Pragmatismo. La metodologia
tradizionale, in particolar modo la predicazione, viene accantonata o scartata
del tutto, in favore di nuove tecniche come il teatro, la danza, la commedia,
il varietà, la rivista, la psicologia di gruppo ed altre forme
d’intrattenimento. I nuovi metodi sono considerati maggiormente “efficaci”
perché riescono ad attirare più gente. Da quando il numero dei membri è
diventato il criterio principale per stabilire il successo di una chiesa, tutto
ciò che richiama un buon numero di persone è accettato senza alcuna analisi
critica, come qualcosa di intrinsecamente buono. Questo è Pragmatismo!
Forse, la manifestazione più evidente del
Pragmatismo consiste nei cambiamenti convulsivi che, nell’ultima decina d’anni,
hanno stravolto il culto e l’adorazione nelle chiese. Oggi, alcune delle più
grandi ed importanti chiese Evangeliche si vantano di culti domenicali
appositamente ideati per risultare più gioviali che solenni. Ancor peggio, la teologia
è stata rimpiazzata dalla metodologia. Un autore ha scritto: «In
passato, una dichiarazione dottrinale era la causa scatenante della nascita di
una denominazione. Oggi, la metodologia è il collante che tiene unite fra loro
le chiese. Ciò che le caratterizza e rende peculiare la loro identità è il loro
approccio metodologico al ministero»[3].
È incredibile, eppure molti sono convinti che questa sia una tendenza positiva,
una spinta ulteriore per l’avanzamento della chiesa contemporanea.
Alcuni conduttori di chiesa, evidentemente,
considerano le quattro priorità della chiesa neotestamentaria, ossia la
dottrina apostolica, la comunione fraterna, la rottura del pane e la preghiera
(Atti 2:42), un programma troppo scarno per la chiesa moderna. Le chiese
corrono dietro al teatro, alla musica, ai divertimenti, all’intrattenimento, ai
corsi di “fai da te” e ad altri svaghi simili, nel tentativo di eclissare il
culto domenicale e la comunione fraterna tradizionali. Nella chiesa di oggi,
infatti, tutto sembra essere di moda tranne la predicazione della Parola
di Dio! I nuovi Pragmatisti considerano la predicazione, in particolar modo
quella espositiva[4], come
qualcosa di superato. La semplice proclamazione della verità biblica è ritenuta
una cosa rozza, sgradevole e del tutto inefficace. Adesso c’insegnano che si
possono ottenere risultati migliori facendo prima divertire le persone e poi
dando loro dei suggerimenti per avere successo nella vita mediante l’ausilio
della psicologia, al fine di riportare in questo modo i peccatori all’ovile.
Quando, in un secondo tempo, si sentiranno a proprio agio, allora saranno
pronti per ricevere la verità biblica in piccole pillole e dosi diluite.
I pastori si rivolgono ai manuali di marketing in
cerca di nuove tecniche per favorire la crescita delle chiese. In molte Scuole Bibliche
l’enfasi dei corsi di Teologia pastorale è stata spostata dalla preparazione
biblica e dottrinale, all’uso di tecniche di consulenza e di teoremi per la
crescita numerica delle chiese. Tutte queste tendenze dimostrano come le chiese
abbiano demandato al Pragmatismo la responsabilità della loro crescita. Come ha
fatto notare Martyn Lloyd-Jones:
… il suggerimento che riceviamo
da alcuni di predicare meno per essere più attivi facendo altre cose è una
tendenza che sembra nuova, ma non lo è affatto. Molti ritengono che svalutare e
umiliare la predicazione enfatizzando altre iniziative, sia un segno della
modernità. La semplice risposta a costoro è che tale tendenza non è per niente
una novità. Il modo in cui si manifestano oggi queste convinzioni può anche
essere nuovo, ma il principio che l’ha ispirato non lo è affatto. In realtà è
stata proprio questa l’enfasi peculiare di tutto il nostro secolo[5]…
Sono convinto che il Pragmatismo rappresenti esattamente la medesima
subdola minaccia per la chiesa oggi, come il Modernismo che la insidiò più di
cento anni or sono. Il Movimento Modernista abbracciò la cosiddetta “alta
critica” (un approccio alla Scrittura che nega che la Bibbia sia l’infallibile
Parola di Dio) e la teologia Liberale, giungendo così a negare quasi tutti gli
aspetti soprannaturali del cristianesimo storico. All’inizio, tuttavia, il
Modernismo non si propose come un attacco aperto alla dottrina ortodossa.
Piuttosto, i primi Modernisti sembravano soprattutto preoccupati di pervenire
all’unità fra le varie denominazioni. Per conseguire questo risultato,
considerando che nei tempi moderni una chiesa frammentata non sarebbe servita a
niente, i Modernisti accantonarono la dottrina, ritenendo che essa fosse, per
natura, sempre causa di divisione. Per favorire l’influenza del cristianesimo
nel mondo, i Modernisti cercarono di conciliare i suoi insegnamenti con i nuovi
contributi della scienza, della filosofia e della critica letteraria. Il
Modernismo nacque come metodologia, ma ben presto assunse le caratteristiche di
una vera e propria teologia.
I Modernisti attribuirono alla dottrina
un’importanza secondaria. Insistendo soprattutto sul concetto di fratellanza e
sull’esperienza, sorvolarono sulle differenze dottrinali. La dottrina, secondo
loro, doveva essere fluida e malleabile, non certo una realtà per cui valesse
la pena combattere. Nel 1935 John Murray così descrisse il tipico Modernista:
… molto spesso il Modernista si
vanta del fatto che, a suo dire, egli si occupa della vita, dei princìpi della
condotta e di mettere in pratica gli insegnamenti di Cristo in ogni sfera
dell’esistenza: individuale, sociale, ecclesiastica, economica e politica. Il
suo motto è che il cristianesimo è vita, non dottrina e ritiene che il
cristiano ortodosso o fondamentalista, come ama definirlo, si preoccupi solo di
conservare e perpetuare gli antiquati dogmi di una fede confessionale. Questa
preoccupazione, alla lunga, avrebbe reso l’ortodossia una fredda e morta
fossilizzazione del vero cristianesimo[6]…
Quando i precursori del Modernismo fecero la loro
comparsa, alla fine dell’Ottocento, furono pochi i credenti che se ne
preoccuparono. In quegli anni, le più accese controversie consistevano in
polemiche di poco conto contro uomini come Charles Spurgeon ed altri, i quali
tentavano di mettere in guardia la chiesa proprio contro la minaccia del
Modernismo. La maggior parte dei cristiani e in particolar modo i conduttori di
chiesa, rimasero completamente sordi a questi ammonimenti. Dopo tutto, non si
trattava di estranei che cercavano di imporre alla chiesa dei nuovi
insegnamenti; anzi, quegli uomini appartenevano tutti a denominazioni
Evangeliche ed erano, inoltre, degli studiosi eminenti. La loro intenzione non
era certo quella di minare le basi della teologia ortodossa, né di colpire il
cuore del cristianesimo. Per questo, le divisioni e gli scismi erano
considerati mali peggiori dell’apostasia.
Tuttavia, la storia ha poi dimostrato che, quali
che fossero le motivazioni originali dei Modernisti, le loro teorie
rappresentarono, di fatto, una grave minaccia per l’ortodossia. Nella prima
metà del XX secolo, gli insegnamenti scaturiti da quel Movimento decimarono
tutte le principali denominazioni Evangeliche! Sminuendo il valore della
dottrina, il Modernismo aprì la porta al Liberalismo teologico, al Relativismo
etico ed allo Scetticismo! La maggior parte degli Evangelici, oggi, tende a far
coincidere il termine “Modernismo” con il rinnegamento della fede tout-court.
Spesso ci si dimentica che, invece, lo scopo che si prefissero i primi
Modernisti era semplicemente quello di rendere la chiesa più “accessibile”, più
unita, più influente e più accettabile per la scettica epoca in cui vissero.
Proprio come i Pragmatisti d’oggi!
Anche noi, come la chiesa di cento anni fa,
viviamo in un periodo di rapidi cambiamenti: assistiamo ai progressi della
scienza, della tecnologia, della politica e dell’educazione. Come in quei
tempi, i credenti d’oggi sono pronti ad accettare il cambiamento anche nella
chiesa e, spesso, sono perfino ansiosi di farlo. Anche noi, come loro, bramiamo
l’unità dei fedeli e, come loro, anche noi siamo sensibili all’ostilità di un
mondo incredulo.
Purtroppo, c’è almeno un altro parallelismo fra la
chiesa di oggi e quella della fine del XIX secolo. Oggi, come allora, molti
cristiani sembrano completamente inconsapevoli del grave pericolo che minaccia
la chiesa dal suo interno, quando non sono addirittura indifferenti. Eppure, se
c’è qualcosa di certo che la storia della chiesa c’insegna, è che i più
devastanti assalti alla fede sono sempre cominciati con sottili errori
provenienti dal suo interno. In un’epoca incerta, la chiesa non può permettersi
di tentennare! Noi siamo responsabili della cura spirituale di persone alla
disperata ricerca di risposte e non possiamo assolutamente mascherare la verità
o addolcire il Vangelo! Se diventiamo amici del mondo, diventiamo altresì
nemici di Dio! Se ci affidiamo agli espedienti del mondo, rinunciamo
automaticamente alla potenza dello Spirito Santo!
Queste verità sono ribadite in continuazione dalla Scrittura: «Non sapete che l’amicizia del mondo è inimicizia verso Dio? Chi dunque vuol essere amico del mondo si rende nemico di Dio» (Giacomo 4:4). «Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui» (I Giovanni 2:15). «Il re non è salvato da un grande esercito; il prode non scampa per la sua gran forza. Il cavallo è incapace di salvare, esso non può liberare nessuno con il suo gran vigore» (Salmi 33:16-17). «Guai a quelli che scendono in Egitto in cerca di soccorso, hanno fiducia nei cavalli, confidano nei carri, perché sono numerosi, e nei cavalieri, perché sono molto potenti, ma non guardano al Santo d’Israele e non cercano il Signore!» (Isaia 31:1). «Non per potenza, né per forza, ma per lo Spirito mio, dice il Signore degli eserciti» (Zaccaria 4:6).
Il motivo per cui il Signore descrisse il popolo
d’Israele come la luce delle nazioni (Isaia 49:3, 6) era che esso avrebbe
dovuto essere diverso dagli altri popoli. Agli Israeliti fu
esplicitamente proibito di imitare le abitudini dei pagani in fatto di
abbigliamento, corteggiamento, cibi, religione ed altri aspetti della cultura.
Dio disse loro: «Non farete quello che si fa nel paese d’Egitto dove avete
abitato, né quello che si fa nel paese di Canaan dove io vi conduco, e non
seguirete i loro costumi» (Levitico 18:3). Inoltre, come fa notare Martyn
Lloyd-Jones:
… Il nostro Signore attirava a sé
i peccatori perché era differente dagli altri. Essi gli si accostavano perché
sentivano che c’era qualcosa di speciale in lui... il mondo si aspetta che
anche noi cristiani siamo differenti. Quest’idea che per riuscire a conquistare
le persone alla fede cristiana sia necessario dimostrare che, dopo tutto, anche
noi siamo come loro, è davvero un errore grossolano, sia a livello teologico
che psicologico[7]...
Oggigiorno si parla poco di mondanità e ancor meno si comprende cosa sia
veramente. Il termine stesso comincia a suonare antiquato. La mondanità è quel
peccato per cui si lascia che i propri desideri, le proprie ambizioni o il
proprio comportamento si conformino ai valori terreni: «Tutto ciò che è nel
mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia
della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua
concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno» (I Giovanni
2:16-17). Oggi, invece, assistiamo all’incredibile spettacolo di programmi per
le chiese, appositamente ideati per soddisfare i desideri della carne, gli
appetiti sensuali e l’orgoglio umano, appagando “la concupiscenza della carne,
la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita”! Spesso accade che, per
rispondere al richiamo del mondo, le attività svolte nelle chiese vadano ben
oltre il peccato della superficialità.
Un mio collega da diversi anni compila un
“catalogo degli orrori”, composto da ritagli di giornale che mostrano come le
chiese Evangeliche abbiano intrapreso nuove attività per evitare che i culti
divengano troppo noiosi. Nell’ultimo decennio alcune delle più numerose chiese
Evangeliche, per movimentare un po’ le loro riunioni, hanno iniziato ad
impiegare stratagemmi mondani come scenette comiche, spettacoli di varietà,
incontri di lotta libera e perfino finti spogliarelli per “condire” i loro
culti! Ormai nessuna follia sembra troppo oltraggiosa, perfino dove si dovrebbe
adorare Dio! La parodia sta rapidamente diventando la liturgia di quella chiesa
che è figlia del Pragmatismo!
Oltretutto, molti nella chiesa credono che questo
sia l’unico modo per raggiungere il mondo. Ci viene insegnato che se la
moltitudine degli inconvertiti non tollera la predicazione biblica, allora
dobbiamo offrire loro ciò che desiderano. Centinaia di chiese hanno seguito
proprio questa teoria, svolgendo dei veri e propri sondaggi fra i non credenti
per cercare di capire cosa fare per indurli a frequentare le loro riunioni. In
modo subdolo, l’unico obiettivo da perseguire sta diventando quello di
guadagnare “frequentatori” della chiesa e l’essere graditi al mondo, piuttosto
che vivere in modo degno del Vangelo. Predicare la Parola ed affrontare il
peccato faccia a faccia, sono considerati metodi antiquati ed inefficaci per
vincere il mondo. Alla lunga, queste cose finiscono con il far allontanare la
gente! Perché non provare a riportarli all’ovile allettandoli, offrendo loro
ciò che vogliono, creando un ambiente amichevole e confortevole e appagando i
desideri più impellenti del loro cuore? Come se potessimo indurre le persone ad
“accettare Gesù” rendendolo in qualche modo più attraente o presentando il suo
messaggio in modo meno scandaloso!
Questo modo di pensare distorce gravemente la vera
missione della chiesa. Il cosiddetto “grande mandato” non è un manifesto di
marketing! Per evangelizzare i perduti non c’è bisogno di venditori, ma di
profeti! È la Parola di Dio, non una qualsiasi lusinga mondana, che getta il seme
della nuova nascita (I Pietro 1:23). Se cercheremo di rimuovere lo scandalo
della croce (Galati 5:11), riusciremo solo a disonorare il Signore.
Vi prego di non fraintendere quello che sto dicendo. Non condanno l’innovazione
in sé, perché riconosco che l’ordine del culto non è rigidamente fissato. Mi
rendo anche conto che se un tipico Puritano del XVII secolo facesse visita alla
chiesa “Grace Community” (la chiesa di cui sono pastore), rimarrebbe turbato
dal fatto che ci sia la musica, probabilmente scandalizzato dal fatto che gli
uomini e le donne siedono insieme e, forse, dal fatto che utilizziamo un
sistema d’amplificazione. Spurgeon stesso non apprezzerebbe il fatto che gli
inni che cantiamo siano accompagnati dall’organo! Non difendo certo l’idea di
una chiesa stagnante e non sono neanche legato ad una particolare forma
liturgica. La Scrittura non si sofferma ad affrontare queste problematiche.
Sono anche convinto che le mie preferenze personali non siano necessariamente
migliori di quelle degli altri. Non ho alcuna intenzione di fissare delle
regole arbitrarie che stabiliscano cosa sia accettabile o meno in una riunione
di culto, perché significherebbe cadere nel legalismo. Ciò che intendo
denunciare, piuttosto, è quella filosofia che relega Dio e la sua Parola ad una
posizione secondaria nella chiesa. Credo che dare spazio all’intrattenimento
nel culto a spese della predicazione biblica e della vera adorazione, sia
contrario alla Parola di Dio.
L’apostolo Paolo affermava: «Non mi
vergogno del Vangelo» (Romani 1:16). Purtroppo, invece, la “vergogna del
Vangelo” sembra stia divenendo una delle caratteristiche principali di alcune
tra le chiese più conosciute ed influenti di oggi! Mi sembra di scorgere delle
chiare analogie fra ciò che sta accadendo oggi e quanto avvenne circa un
centinaio d’anni fa. Più studio quel periodo, più mi convinco che la storia si
stia ripetendo. Con questo libro, cercherò di mettere in luce proprio quegli
aspetti del Movimento Evangelico di fine ’800 che maggiormente rispecchiano i
problemi contemporanei. Mi concentrerò particolarmente su un periodo della vita
di Spurgeon, divenuto noto come “Down-Grade Controversy” (Controversia sul
declino della chiesa) e nell’affrontare questi argomenti, citerò spesso gli
scritti di Spurgeon stesso.
Personalmente, ho almeno due cose in comune con
Charles Spurgeon: siamo nati entrambi il 19 giugno e anche lui, come me, è
stato pastore della medesima chiesa praticamente per tutta la durata del suo
ministero. Più leggo i suoi scritti ed i suoi sermoni, più sento di avere
un’affinità spirituale con lui. Tuttavia, non mi considero certo uguale a
Spurgeon! Non c’è dubbio che nella storia non c’è stato un predicatore di
lingua inglese di pari abilità oratoria, con la medesima capacità di
trasmettere l’autorità del messaggio divino, con la stessa passione per la
verità e la medesima maestria nel predicare, combinata con una tale conoscenza
teologica. Fu anche un conduttore di chiesa esemplare, fornito di una predisposizione
innata al governo. Spurgeon svolse il suo ministero in tempi difficili, eppure
riusciva a riempire il suo uditorio da 5.500 posti più volte alla settimana. La
stima che il suo stesso gregge nutriva nei suoi confronti, si mantenne immutata
fino al giorno della sua morte. Io mi pongo ai suoi piedi, non certo al suo
fianco!
La mia intenzione non è certo quella di
riaccendere la polemica scatenata da Spurgeon in occasione della Controversia
sul declino della chiesa. Spurgeon stesso attribuì a quel conflitto la causa
del peggioramento della sua salute che, in seguito, lo avrebbe condotto alla
morte. Nel 1891, in occasione di un viaggio di riposo in Costa Azzurra, ebbe a
dire ad alcuni amici: «Questa battaglia mi sta uccidendo»[8].
Tre mesi dopo, dalla Francia giunse la notizia della sua morte. Egli non aveva
cercato quella battaglia, ma, rifiutando il compromesso su ciò che credeva
fermamente fossero convinzioni biblicamente fondate, non poté evitare la
controversia che ne seguì. Per quanto mi riguarda, francamente non sopporto la
polemica. Chi mi conosce di persona, può testimoniare che non amo nessun tipo
di disputa. Tuttavia, c’è in me un fuoco che mi obbliga ad esporre con
chiarezza le mie convinzioni bibliche. Non posso rimanere in silenzio quando è
in gioco una posta tanto alta!
È con tale sentimento che vi offro questo libro.
Spero che nessuno lo prenda come un attacco rivolto contro una persona o un
ministero in particolare, perché non lo è. Si tratta, piuttosto, di una
supplica che rivolgo a tutta la chiesa relativamente a dei princìpi. So che vi
sarà un diffuso dissenso con quanto affermerò, ma devo dire di aver comunque
cercato sinceramente di scrivere senza alcuna intenzione polemica. Questi sono
argomenti verso i quali molta gente nutre delle convinzioni profonde. Quando si
affrontano certi problemi, in particolar modo quando si esprimono con
franchezza delle opinioni diverse, a volte la gente si stizzisce. Io non scrivo
con rabbia e vorrei chiedere ai lettori di ricevere quello che ho scritto nello
stesso spirito con cui viene loro offerto.
La mia preghiera è che questo libro riesca a stimolare la vostra
riflessione tanto da spingervi ad esaminare le Scritture “per vedere se le cose
stanno così” (Atti 17:11). Prego, inoltre, che il Signore voglia liberare la
sua chiesa da quello stesso genere di declino verso la mondanità e
l’incredulità che, esattamente cento anni fa, la devastarono e ne stremarono il
vigore spirituale.
[1] “Preface”, The Sword and the Trowel (1888 complete volume), iii.
[2] Jamie Buckingham, “Wasted Time”, Charisma (December 1988), 98.
[3] Elmer L. Towns, An Inside Look at 10 of Today’s Most Innovative Churches (Ventura, Calif.: Regal, 1990), 249.
[4] Per una dettagliata definizione
del sermone espositivo, il lettore può fare riferimento all’articolo pubblicato
dall’editore “Alfa & Omega” nella Rivista di pratica pastorale 2/2000
alle pagine 3-12 (N. d. E.)..
[5] Preaching and Preachers (Grand Rapids: Zondervan, 1971),
33. La traduzione in Italiano di
questa citazione è tratta da Il primato della predicazione, Alfa &
Omega, 33
[6] “The Sanctity of the Moral Law”, Collected Writings of John Murray, 4 vols. (Edinburgh: Banner of Truth, 1976), 1:193.
[7] Preaching and Preachers, 140.
[8] Iain Murray, The Forgotten Spurgeon (Edinburgh: Banner of Truth, 1966), 163.